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CasaAfrica"ISLAM E FEMMINISMO"

30 juin 2012

Video del seminario "ISLAM E FEMMINISMO"

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30 juin 2012

RELAZIONI

 

Relazioni


    Asma LAMRABET [1]


DONNE MUSULMANE E STEREOTIPI OCCIDENTALI: REALTA’ O PREGIUDIZI?[2]

 

Introduzione

 

Le due cose (realtà e pregiudizi) coesistono e l’una alimenta l’altra in un mondo che sembra ogni giorno di più barricarsi dietro identità irrigidite e nel rifiuto dell’altro. Ma che cosa è uno stereotipo se non un’opinione preconcetta, ripetitiva, accettata senza riflessione né critica profonda e che è talvolta, anzi spesso, imposta da un comportamento, un vissuto o una esperienza personale, poi generalizzati? Ci sono dunque degli stereotipi generati da una visione occidentale sui musulmani, così come esistono degli stereotipi generati da una visione orientale (musulmana) sugli occidentali. E al di la di certe realtà specifiche per gli uni come per gli altri, le due visioni si autoalimentano all’interno di un mondo sempre più segnato dall’egoismo, dalla paura dell’altro e che educa all’ignoranza.

Bisogna precisare subito, prima di entrare nel vivo dell’argomento, che il nostro grande problema oggi è che ciascuno giudica l’altro partendo dal suo punto di vista e dal suo particolarismo. Mentre la soluzione sarebbe piuttosto quella, come già aveva preannunciato Ibd Rochd (Averroès) (pensatore musulmano e occidentale) già nel XII secolo, di comprendere l’altro nel proprio sistema di riferimento. E’ purtroppo quello di cui sentiamo crudelmente la mancanza all’interno del mondo d’oggi, dove, malgrado gli incredibili mezzi di comunicazione che ci offre la tecnologia moderna, siamo incapaci di capirci se non attraverso il giudizio e il rifiuto delle nostre rispettive differenze.

 

Gli stereotipi occidentali

 

I principali stereotipi occidentali si riassumono nella visione essenzialista in cui le donne musulmane –quale che sia la loro storia, la loro situazione sociale, geografica o economica- sono al centro dell’incompatibilità tra due blocchi immaginari: islam e occidente. L’islam -peraltro ci si può domandare di quale islam si tratti: religione, storia, civiltà, cultura?-, questo blocco omogeneo, sembra essere da molto tempo refrattario a tutti i corollari della Civiltà: modernità, diritti umani, democrazia, laicità, etc…Tra i clichés più in voga troviamo: oppressione, velo, burka, lapidazione, sharia, poligamia. Ecco le parole chiave universali che attraverso un’accanita mediatizzazione hanno finito per inserire, una volta per tutte, le donne musulmane nello schema fisso de «la donna musulmana» ineluttabilmente vittima dell’islam.

L’islam è stato sempre considerato, secondo questa visione stereotipata, come una religione antistorica e dunque ai margini di una storia occidentale, la sola detentrice di una visione universalista (è ciò che ha spiegato molto bene E. Said nella sua analisi sull’orientalismo, o come l’Oriente è stato creato e costruito dall’Occidente).

 

Si assiste quindi ad una vera e propria costruzione ideologica del soggetto “donna musulmana” e da lì un supersfruttamento di questa tematica dove le donne appartenenti a questa cultura vengono descritte come recluse in un universo di «non diritti» e parte di un universo differente, altro e assolutamente estraneo alla cultura universale. Cosa che ha come obiettivo, alla fin fine, di definire l’identità femminile islamica proprio come modello in negativo rispetto alla modernità, alla libertà e alla civiltà.

 

La terrificante «macchina mediatica», che è la fonte primaria degli stereotipi, ha costruito delle norme ormai internazionali di un tipico profilo della donna musulmana ridotta alla sua simbologia più arcaica, quella di una rappresentazione unica, antistorica, pallido remake della classica visione orientalista.

 

Di fatto la «ultra mediatizzazione» internazionale e il discorso ricorrente riguardo la tematica “donne musulmane vittime dell’islam» con il loro status giuridico precario, con la loro ritardata emancipazione, la loro messa sotto tutela culturale, i loro burka e veli di ogni tipo, ha finito per instaurare nell’immaginario collettivo contemporaneo un’immagine indelebile, quella di donne perennemente sottomesse e fatalmente alienate. Immagine che mantiene sornionamente l’idea che la disuguaglianza dei sessi è, in fondo, strutturale alla sola simbologia islamica di cui, d’altronde, la  stessa qualificazione di islamica dispensa da qualunque analisi o riflessione profonda. C’è quindi un accanimento drammatico a voler fare delle donne musulmane, «tutte le donne musulmane», le principali vittime di un islam necessariamente tirannico, discriminatorio, di sapore barbarico, che soltanto le vie di una emancipazione occidentale idealizzata e universalizzata a oltranza sono in grado di liberare.

 

La necessità di questa parola d’ordine «liberiamo le donne musulmane», indotta da un etnocentrismo intellettuale ormai evidente, ha finito per relativizzare, se non addirittura per assolvere, le altre culture e società, in particolare quelle occidentali, da ogni accusa di discriminazione nei confronti delle loro donne che sarebbero, loro sì, «naturalmente liberate»  in quanto si suppone che abbiano acquisito tutti i loro diritti.

 

Questo «diritto di ingerenza» intellettuale profondamente ancorato in una certa ideologia occidentale fa sempre parte dei requisiti previ di un discorso politicamente corretto. «Liberare le povere donne musulmane vittime dell’islam» è così una formula politica che si vende sempre molto bene e che testimonia, per quanto possibile, una indubbia appartenenza al mondo «civilizzato».

 

Il meta-discorso attuale sulla donna musulmana, velata, reclusa, oppressa in fondo è soltanto un’eterna riproposizione della visione orientalista e colonialista, sempre in voga nelle contemporanee rappresentazioni postcoloniali,  che certe femministe europee hanno a giusto titolo indicato come l’intreccio di sessismo e razzismo…Questo discorso paternalista e perennemente accusatore serve soprattutto da alibi a tutte le tendenze politiche di dominazione culturale e supporta l’analisi binaria che oppone, come se fosse la cosa più normale, due modelli antinomici: il modello universale della donna occidentale liberata e il particolarismo della donna musulmana oppressa e quindi da liberare. Peraltro questa ossessione di liberare la donna musulmane ha anche servito da pretesto politico per legittimare imprese coloniali come la guerra in Afghanistan dove l’esercito americano ha cercato di liberare le povere afgane dal loro orribile burka…

 

Può essere utile ricordare qui due fatti evidenti.

 

* Il primo riguarda l’estrema varietà di donna musulmana. Ci sono tante società musulmane diverse quanti modelli di donna musulmana che dall’Indonesia al Marocco, passando per l’Arabia Saudita o l’Europa Centrale e l’Africa Sub-Sahariana, sono, non foss’altro che dal punto di vista geografico, rappresentativi di una importante eterogeneità socio-culturale. Questa pluralità esistente è in flagrante contraddizione con l’immagine monolitica e uniformizzante de LA donna musulmana, proposta dagli stereotipi  occidentali e che tende a ridurre sistematicamente tutte le donne musulmane ad un’unica sola dimensione culturale.

 

* Il secondo fatto da ricordare e di cui ci si dimentica troppo spesso è l’universalità della cultura discriminatoria nei confronti delle donne. La disuguaglianza dei diritti tra donne e uomini è stata la regola per millenni e nonostante conquiste incontestabili la situazione subalterna delle donne è un fenomeno che attraversa, beninteso in gradi diversi, tutte le culture e tutte le civiltà. Oggi l’ intreccio di patriarcato e ultraliberalismo hanno prodotto nuove forme «moderne» di sfruttamento e di soggezione delle donne e queste ultime, al sud come al nord, si ritrovano nelle stesse condizioni di precarietà globalizzata. L’uguaglianza, principio fondante dei sistemi democratici universalisti, resta una delle promesse maggiormente mancate della modernità ed è quindi evidente che la lotta per il riconoscimento e l’istituzionalizzazione dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne è una battaglia ancora incompiuta nel mondo attuale[3].

 

E’ importante a questo punto precisare che non si tratta di rifiutare un dibattito su questo tema. La cosa da rifiutare non è tanto la critica dell’ingiustizia di cui sono vittime le donne in terra d’islam e nell’ideologia tradizionalista corrente (e che, diciamolo pure, è purtroppo una realtà), ma la centralità, la logica di «due pesi e due misure» e la manipolazione ingiustificabile che subisce la questione delle donne musulmane nell’agenda politica di certi governi occidentali e nella visione paternalista di certe femministe occidentali.

 

(Vengono veicolati dei clichès ricorrenti che hanno fatto il giro del mondo sulla donna afgana tanto da essere utilizzati per giustificare l’invasione militare e politica di questo paese. Quanto alla ideologia sessista dell’alleato saudita che inonda, grazie ai petrodollari, la produzione letteraria islamica fin dentro le società occidentali essa viene tollerata visti gli innumerevoli interessi in gioco. Silenzio sulle ruberie di Ben Alì in nome di una liberazione delle donne, alibi di certi dispotismi arabi!).

 

Peraltro lungi da noi l’idea di demonizzare l’occidente e considerarlo responsabile di tutti i nostri mali e lungi l’idea di rafforzare una vittimizzazione sottesa a un certo discorso islamico ottenebrato anch’esso dall’idea un eterno complotto immaginario verso l’islam. Discorso questo che peraltro veicola lo stesso tipo di stereotipi: la visione dell’occidente considerato come un blocco omogeneo di un sistema amorale che ha perduto i suoi valori. Si tratta piuttosto di denunciare la strumentalizzazione politica di alcune problematiche come, tra le altre, quella relativa alle donne musulmane e di denunciare ciò che una certa visione occidentale ne vuole fare estremizzandola. Questo, senza dimenticare che ciò è il risultato di una certa realtà concreta garantita da un sistema religioso che nei paesi di maggioranza islamica strumentalizza anch’esso la questione delle donne musulmane.

 

Donne musulmane: quale realtà?

 

Credo che sia necessario ammettere che tra tutte le critiche fatte all’islam e ai musulmani quelle sullo status delle donne restano in fondo relativamente giuste nonostante l’insopportabile strumentalizzazione politica e mediatica internazionale.

 

Bisogna dirlo chiaramente: malgrado le diverse situazioni in cui vivono le donne musulmane nel mondo è evidente che la loro situazione resta segnata dalla visione egemone di una ideologia islamica ufficiale tradizionalista e rigorista che è diventata più marcata a partire dal riflusso religioso degli anni ’80.

 

Esiste nelle varie società islamiche una sorta di compromesso generale riguardo a questa questione  intorno alla quale ci sono raggiunti taciti consensi alle spalle delle donne e della loro emancipazione. Dall’islam ufficiale degli stati ai movimenti islamici di opposizione, passando per gli alti consigli degli Ulema o per la cultura popolare, è sempre di una stessa visione tradizionalista misogina e chiaramente discriminatoria che si tratta.

 

« L’islam onora la donna, le ha concesso tutti i diritti, l’ha protetta…» ecco la sostanza del discorso detto e ripetuto da molti musulmani, molto spesso sinceri dal momento che riflette in fondo la veridicità del messaggio spirituale, ma che resta assolutamente insufficiente e infruttuoso sul piano argomentativo. Un discorso sulla difensiva che perde via via vigore mentre si affanna a smentire delle accuse purtroppo confermate dalla constatazione tagliente della realtà delle società islamiche. C’è in effetti un palese contrasto tra quel discorso che si dice e si vuole rispettoso dei valori islamici e la realtà di un vissuto in cui si giustificano le peggiori forme di discriminazione nei confronti delle donne.

 

Di fatto, anche se la situazione delle donne musulmane ha conosciuto in questi ultimi decenni un concreto miglioramento e cambia in modo ragguardevole da un paese all’altro (codice moudawwana in Marocco e Code de Statut Personnel in Tunisia) a seconda del livello socio-culturale ciò non toglie che lo status giuridico delle donne musulmane resta di gran lunga tra i più precari del mondo.

 

Bisognerebbe riconoscere che gli schemi educativi tradizionali, le disposizioni discriminatorie del diritto di famiglia e il codice de statut personnel  perpetuano, a seconda dei paesi e in grado variabile, in modo eclatante le disuguaglianze e la subordinazione delle donne e ciò nella grande maggioranza dei paesi islamici. Dall’analfabetismo (i tassi nei paesi arabi sono i più alti del mondo: 40% di analfabeti -65milioni, di cui le donne rappresentano i due terzi) allo stato giuridico di minore a vita, all’assenza di autonomia, agli ostacoli patenti alla partecipazione politica (5% di donne parlamentari), passando per i matrimoni forzati e i crimini d’onore in certe regioni, tutti questi abusi restano purtroppo la quotidianità di un gran numero di musulmane e sono nella maggior parte dei casi garantite da una certa lettura del religioso.

 

Il discorso islamico attuale sulle donne si riduce ad una visione semplicistica e normativa incentrata essenzialmente su «le derive tentatrici del corpo delle donne», o «Fitna», e presenta come unica alternativa l’invisibilità fisica e sociale delle donne come sfogo di tutte le frustrazioni culturali.

Questo discorso tradizionalista è quindi sfasato in rapporto alla realtà sociale musulmana che evolve e si trasforma in modo lampante agli occhi di alcuni dotti musulmani che, sbalorditi da questa evoluzione, si ostinano a cercare delle soluzioni datate tra le riflessioni dei loro predecessori di vari secoli fa.

 

Questo rifiuto di appoggiare qualunque tentativo di riforma, in particolare relativa alla condizione della donna, è molto rivelatore della crisi identitaria che vive il mondo musulmano. Infatti le donne musulmane sembrano rappresentare l’ultimo baluardo da difendere da parte di società minacciate da altre situazioni di precarietà politica ed economica, le quali, in mancanza di meglio, si attaccano per quanto è possibile a valori morali molto primitivi. Così le donne sono condannate ad essere le guardiane di questa morale e per estensione della religione stessa.

 

I musulmani, da parte loro, di fronte a questa ostilità crescente per la loro religione e alla valanga di accuse contro di loro si barricano dietro un discorso non meno caricaturale in quanto essenzialmente alimentato da reazioni impulsive e ripiegamenti giustificatori. Soggetto ad una congiuntura internazionale e a delle condizioni politiche percepite come umilianti, il mondo islamico, già indebolito da una tradizionale chiusura, dalla povertà, dal sottosviluppo e dal dispotismo dei suoi regimi, percepisce questo genere di critiche e in modo particolare quelle relative alle donne come un segno di ingerenza culturale totalmente inopportuna e insopportabile.

Il discorso di liberazione portato avanti dall’occidente non può essere credibile da un certo punto di vista islamico perché, oltre ad essere screditato da politiche internazionali fondamentalmente ingiuste nei confronti di un gran numero di paesi musulmani, va a toccare uno degli ultimi baluardi dell’identità musulmana, cioè la donna. In effetti la donna sembra rappresentare per questo mondo islamico dall’identità ferita, l’ultimo baluardo da difendere…La donna musulmana ormai rappresenta la vittima ideale di questa costruzione ideologica speculare e si vede costretta ad incarnare, data la sua posizione di guardiana della morale, il contro modello rispetto a quello veicolato dall’occidente considerato privo di valori.

 

Va sottolineato poi che, malgrado l’avvento delle rivoluzioni arabe e del vento di liberazione che ha soffiato nelle piazze, le vittorie contro i regimi dispotici hanno lasciato il posto ad una grande confusione nello spazio politico in cui le donne, nonostante il ruolo chiave che hanno avuto nelle varie rivoluzioni, sono ancora una volta emarginate dall’azione politica in nome di una certa lettura del religioso (Egitto, Libia, Yemen…e in grado minore la Tunisia che sembra differenziarsi…il Marocco, dove le forti manifestazioni, anche senza rivoluzione, hanno portato al cambiamento della Costituzione, ma dove tuttavia il nuovo governo ostenta un arretramento riguardo la rappresentanza femminile).

 

Analisi e conclusioni

 

Come abbiamo detto all’inizio la realtà e i pregiudizi convivono all’interno di questa tematica così complessa.

 

La realtà in cui vivono le donne musulmane è molto complessa e non risponde a questa visione essenzialista che viene riprodotta a livello internazionale e che dipinge le donne musulmane come sottomesse e alienate.

Le donne musulmane rappresentano infatti una diversità e una pluralità di vissuti, di storie, di sofferenze e di lotte, ma anche di successi e di imprese quotidiane…

 

Allora, è il religioso e quindi l’islam, che appaiono così presenti in queste società, ad essere all’origine di questa cultura discriminatoria oppure sono le innumerevoli interpretazioni che ne sono derivate e che hanno fatto di questa religione un potente strumento del patriarcato?

 

A questo punto io credo che bisognerebbe fare una riflessione e rifiutare l’affermazione secondo cui la discriminazione e la svalutazione delle donne sarebbero intrinseci ai testi sacri dell’islam. Nessuno può contestare la deplorevole condizione delle donne così come è vissuta nelle società a maggioranza islamica, ma sarebbe corretto distinguere tra il contenuto spirituale del messaggio islamico e le sue diverse interpretazioni,  così come bisognerebbe distinguere tra ciò che deriva da una cultura sociale locale strutturalmente patriarcale e ciò che dipende da precetti spirituali.

Bisognerebbe far  differenza tra le fonti originali dove troviamo degli orientamenti davvero emancipatori e le interpretazioni classiche che hanno svuotato il messaggio dal suo contenuto spirituale e l’hanno fissato in compilazioni di contenuto strettamente giuridico. E’ importante saper riconoscere che non è il messaggio spirituale dell’islam ad essere intrinsecamente incompatibile con i diritti della donna, bensì l’interpretazione abusiva di leggi e testi centrali da parte delle autorità patriarcali.

 

Per non cadere in questa visione stereotipata si dovrebbe distinguere tra il messaggio spirituale dell’islam e i vissuti, le tradizioni e i sistemi religiosi che hanno sclerotizzato tutto il pensiero islamico.

Le ragioni di questa blindatura sono complesse, ma quella predominante è la strumentalizzazione politica del religioso in terra d’islam, e questo da secoli. Il dramma del mondo musulmano non è religioso, è essenzialmente politico.

 

E’ interessante constatare che la questione delle donne e quella del potere politico in islam sono strettamente e curiosamente legate dal punto di vista storico.

In effetti le donne sono state –e lo sono tuttora- vittime di un doppio dispotismo: il patriarcato e l’autocrazia. Sono questi due poteri assoluti che le hanno imbavagliate per secoli e che hanno contribuito alla progressiva regressione del loro status ratificato del resto dal declino della civiltà islamica.

Se a questo si aggiunge lo choc dell’incontro con la colonizzazione occidentale si può facilmente capire l’ampiezza dei danni devastanti sullo status della donna e le sue ripercussioni traumatiche ancora percepibili ai nostri giorni. Per proteggersi contro il mondo colonizzatore il mondo musulmano ha in prima battuta sequestrato la donna per paura che si identificasse col modello di emancipazione occidentale e che ne trasmettesse i valori giudicati come necessariamente anti islamici…

 

L’epoca dell’indipendenza non è stata peraltro proficua né per le donne né per gli uomini musulmani dal momento che un buon numero di lemma come nazionalismo, panarabismo, laicità, democrazia, sono rimaste parole vuote che hanno legittimato le peggiori ruberie perpetrate da regimi corrotti con la benedizione dei vecchi colonizzatori.

 

Conclusioni

 

In questo modo le donne musulmane nelle loro più varie rappresentazioni restano imprigionate tra due visioni conflittuali e perennemente contrapposte: un approccio musulmano tradizionalista, rigido e anacronistico e un approccio occidentale etnocentrico che veicola stereotipi e clichés semplicistici e sempre più islamofobi.

Tra queste due visioni del mondo è soprattutto la parola delle donne musulmane ad essere zittita…L’emancipazione delle donne musulmane non può diventare effettiva senza una vera e propria presa di coscienza e di parola da parte di loro stesse e non di altre che parlino al posto loro!

Le donne musulmane devono quindi inventarsi un altro cammino fuori da questi sentieri battuti in nome delle loro convinzioni spirituali nonché della loro prospettiva di donne moderne. E’ quindi su un doppio registro, quello dei diritti umani universali e quello di un religioso riconquistato, che il cammino di una vera emancipazione delle donne musulmane può compiersi ed avere tutte le chances di riuscire.

 

Vorrei precisare che è in questa terza via che mi riconosco come donna impegnata nella lotta per i diritti all’eguaglianza e alla dignità delle donne musulmane. Un terza via che sa di doversi liberare sia dell’alienazione occidentale che dal tradizionalismo religioso sclerotizzato.

Una terza via che in nome di un riferimento e di radici spirituali, ma anche in nome dei valori condivisi di uguaglianza, dignità e rispetto dei diritti individuali, lotta contro gli estremismi di ogni tipo e rifiuta la svalutazione giuridica, culturale e sociale delle donne.

Abbiamo visto che con le rivoluzioni arabe le donne si sono ribellate alla lettura culturale tradizionalista e ai dispotismi politici. E’ in questo senso che bisognerebbe smontare questa doppia componente: quella delle disuguaglianze socio-politiche e quella delle discriminazioni sessiste tradizionali. Ed è lavorando su questi due fronti, democrazia e riformismo religioso, che le trasformazioni sociali possono concretizzarsi davvero sul campo.

 

Ci saranno sicuramente sempre enormi resistenze verso questo processo di emancipazione, ma il meccanismo si è già messo in moto e niente e nessuno può invertire il corso della storia quando il cambiamento è in atto. La storia del mondo musulmano che è di nuovo in cammino non potrà più farsi ormai senza le sue donne.   

Femmes musulmanes et stéréotypes occidentaux : réalités ou préjugés ?[4]

 

Introduction :

 

Les deux coexistent et l’un alimente l’autre dans un monde qui semble jour après jour s’enfermer un peu plus dans la crispation identitaire et le refus de l’

autre . Mais qu’est  ce qu’un stéréotype sinon une opinion préconçue répétitive, acceptée sans réflexion ni critique profonde mais qui est parfois voire souvent imposée par un comportement, un vécu ou une expérience personnelle, généralisée par la suite ?. Il existe donc des stéréotypes générés par une vision occidentale sur les musulmans comme il existe des stéréotypes générés par une vision orientale (musulmane) sur les occidentaux. Et au delà de certaines réalités particulières aux uns comme aux autres, les deux types de visions s’auto entretiennent au sein d’un monde de plus en plus  marqué par l'égoïsme, la peur de l’autre et l’ignorance cultivée.

Il faut  préciser de prime abord, avant d’entrer dans le vif du sujet,  que notre grand problème aujourd’hui c’est que chacun juge l’autre à partir de son propre point de vue et de son particularisme. Alors que la solution serait plutôt comme l’avait préconisé Ibn Rochd (Averroès) (penseur musulman et occidental) déjà au 12ème siècle, c’est de comprendre l’autre dans son propre système de référence. C’est malheureusement ce qui nous fait cruellement défaut au sein du monde d’aujourd’hui où malgré les incroyables moyens de communication que nous offre la technologie de la vie moderne, nous sommes incapables de nous comprendre autrement que par le jugement et le rejet portés sur nos différences respectives.    

 

Les stéréotypes occidentaux :

 

Les principaux stéréotypes occidentaux se résument à cette vision essentialiste où toutes les femmes musulmanes - quelque soit leurshistoire, leurs situation sociale, géographique ou économique -  sont au  cœur de l’incompatibilité  entre deux blocs imaginaires : islam et Occident.  L’islam – d’ailleurs on peut se demander de quel islam il s’agit : religion, histoire, civilisation, culture ??-  ce bloc homogène,  semble être et depuis bien longtemps, réfractaire  à tous les corollaires de  la Civilisation : modernité, droits humains, démocratie, laïcité, etc.… Parmi les clichés les plus en vogue ; on retrouvera : Oppression, voile, burqua, lapidation, charia, polygamie : ce sont là les mots clés universels qui à travers une médiatisation acharnée ont fini par catégoriser une fois pour toutes, les femmes musulmanes dans cette grille figée  de : « la femme musulmane »  victime inéluctable de  l’islam.

L’islam a toujours été considéré, selon cette vision stéréotypée,  comme une religion anhistorique et donc en marge d’une histoire occidentale, seule détentrice d’une vocation universaliste…(C’est ce qu’a très bien expliqué E Said dans son analyse de l’orientalisme ou comment l’Orient a été créé et construit par l’Occident…)

 

On assiste donc à une véritable construction idéologique du sujet « femme musulmane » et de là à une surexploitation de cette thématique où l’on décrit les femmes appartenant  cette culture comme étant  apparemment recluses dans un univers de « non droits » et  faisant  partie d’un univers différent, autre et définitivement étranger à la culture universelle.  Ce qui a pour but finalement d’ériger  l’identité féminine islamique  en véritable modèle « repoussoir » par rapport à la modernité, à la liberté et à la civilisation.

 

La terrifiante « machine médiatique » qui est la source la plus importante de stéréotypes a édifié des normes, désormais internationales, d’un profil type de la « femme musulmane » réduite à sa symbolique la plus archaïque : celle d’une représentation unique, anhistorique, pâle « remake » de la classique vision orientaliste.

En effet, la « sur médiatisation » internationale  et le discours récurent autour de la thématique « femmes  musulmanes  victimes de l’islam », avec leur statut juridique précaire, leur émancipation retardée, leur mise sous tutelle culturelle, leurs « Burquas » et « voiles » de tout genre, a finit par instaurer dans l’imaginaire collectif contemporain une image indélébile : celle de  femmes éternellement soumises et inéluctablement aliénées. Image, qui entretient, sournoisement, l’idée que l’inégalité des sexes est finalement structurelle à la seule symbolique islamique dont, d’ailleurs,  le seul qualificatif  d’islamique dispense de toute analyse ou réflexion profonde. Il y a donc un acharnement dramatique à vouloir faire des femmes musulmanes - toutes les femmes musulmanes - les principales victimes, d’un Islam forcément tyrannique, inégalitaire et aux relents barbares que seules les voies d’une émancipation occidentale idéalisée et universalisée à outrance, sont à même de libérer.

Cette nécessité symbolique de « libération » des femmes musulmanes, induite par un ethnocentrisme intellectuel qui ne se cache plus a fini par relativiser voir à  absoudre les autres cultures et sociétés, notamment occidentales, de toute  accusation de discrimination envers leurs  femmes qui seraient, elles,  « naturellement libérées» et supposées avoir acquis tous les droits.

Ce « droit d’ingérence » intellectuel  profondément ancré dans une certaine idéologie occidentale fait donc toujours partie  des préalables requis du discours politiquement correct. « Libérer les pauvres femmes musulmanes victimes de l’islam » est une formule politique qui se « vend » donc toujours  très bien et qui témoigne, tant que faire se peut, d’une indubitable appartenance au monde de « civilisé ».

 

Le métadiscours actuel sur la musulmane, voilée, recluse et opprimée, n’est finalement qu’une reproduction perpétuelle de la vision orientaliste et colonialiste, toujours en vogue dans les représentations contemporaines post coloniales et que certaines féministes européennes ont désigné à juste titre comme étant l’imbrication du sexisme et du racisme…Ce discours paternaliste et éternellement accusateur sert surtout « d’alibi » à toutes les attitudes politiques de domination culturelle et conforte l’analyse binaire qui oppose le plus naturellement du monde deux modèles antinomiques : le modèle “universel” de la femme occidentale « libérée » et le « particularisme » de la musulmane

opprimée et donc « à libérer ». D’ailleurs cette obsession de « libération » de la femme musulmane a même servi de « prétexte » politique pour légitimer des entreprises coloniales comme la guerre en Afghanistan où l’armée américaine a tenté de libérer les pauvres afghanes de leur horrible burka …

 

- Or, il serait peut être utile de rappeler ici, deux évidences.

*La première concerne l’extrême diversité des femmes musulmanes. Il y a autant de sociétés musulmanes différentes, que de modèles de femmes musulmanes, qui de l’Indonésie au Maroc, en passant par l’Arabie saoudite ou l’Europe centrale et l’Afrique subsaharienne, sont, ne serait ce que géographiquement parlant bien représentantes d’une hétérogénéité socioculturelle importante. Cette pluralité existante est en contradiction flagrante avec l’image monolithique et uniformisante de « LA » femme musulmane, reproduite par les stéréotypes occidentaux  et qui tend à réduire  systématiquement toutes les femmes musulmanes à une seule  et unique dimension  culturelle.

*La seconde évidence à rappeler et que l’on oublie trop souvent est celle de « l’universalité » de la culture de discrimination envers les femmes.  L’inégalité des droits entre femmes et hommes a été la règle pendant des millénaires et  malgré des acquis incontestables, la situation subalterne des femmes est un phénomène qui transcende, à des degrés variables bien entendu,  toutes les cultures et toutes les civilisations. Aujourd’hui, l’imbrication du patriarcat et de l’ultralibéralisme ont induit de nouvelles formes dites « modernes », d’exploitation et de domination des femmes et ces dernières   aussi bien au Sud qu’au Nord, se retrouvent dans les mêmes situations de précarité « mondialisée ». L’égalité, ce principe fondateur des systèmes démocratiques universalistes, reste l’une des promesses les plus inaccomplies de la modernité et il apparaît donc évident que la lutte pour la reconnaissance et l’institutionnalisation  des droits égalitaires entre hommes et femmes est un combat encore inachevé dans le monde actuel[5].

Il serait important de préciser ici qu’il ne s’agit pas de refuser les critiques sur ce sujet mais ce qui est à refuser,  ce n’est pas tant, la critique de l’injustice dont sont victimes les femmes en terre d’islam et dans l’idéologie traditionaliste en cours,  et qui disons le clairement est une réalité malheureusement,  mais ce qui est critiquable c’est  la centralité, la logique du « un poids deux mesures » et la manipulation injustifiable dont fait l’objet cette question des femmes musulmanes dans l’agenda politique de certains gouvernements occidentaux et dans la vision paternaliste de certaines féministes occidentales.

(On véhicule des clichés récurrents et qui ont fait le tour du monde sur la femme afghane tant que cela justifie la main mise militaire et politique sur ce pays. Quant à l’idéologie sexiste de l’allié saoudien qui inonde, grâce aux pétrodollars, la production littéraire islamique, jusqu’à l’intérieur des sociétés occidentales, elle est « tolérée », vu les innombrables intérêts en jeu. Silence sur les exactions de ben Ali au nom d’une libération des femmes alibi de certains despotismes arabes !)

 

Loin de nous donc l’idée de diaboliser l’Occident et de le rendre responsable de tous nos maux et de nous conforter dans cette situation d’éternelles victimes comme le véhicule un certain discours islamique obnubilé, lui aussi,  par un éternel et imaginaire complot contre l’islam.(  idée de l’agenda politique extérieure occidentale à chaque fois que l’on a des débats concernant les femmes !)

Ce même discours islamique qui lui aussi véhicule la même vision sur l’Occident considéré comme un bloc homogène, avec le même type de stéréotypes et qui réduit tout l’Occident à un système amoral et en pertes de valeurs.

Il s’agit donc plutôt de dénoncer l’instrumentalisation politique de certaines problématiques comme celle, entre autres, des femmes musulmanes et de dénoncer ce qu’une certaine vision occidentale veut faire de cette problématique en l’essentialisant à outrance. Mais sans oublier pour autant que ceci n’est que le résultat d’une certaine réalité concrète cautionnée par un système religieux qui dans les pays majoritairement islamiques, lui aussi, instrumentalise cette question des femmes musulmanes.

 

Quelle réalité des femmes musulmanes ?

 

A ce niveau là, je crois qu’il faudrait savoir admettre,  que,  parmi toutes les critiques faites  à l’égard de l’islam et des musulmans, celles concernant le statut des  femmes, restent au fond relativement justes et ce malgré l’insoutenable instrumentalisation politique et médiatique internationale qui la sous tend.

Il faut le dire clairement, malgré les différentes situations dans lesquelles vivent les femmes musulmanes de part le monde, il est évident, que leur situation reste marquée par la vision hégémonique d’une idéologie islamique officielle traditionaliste et rigoriste, et qui est devenue plus marquée depuis  l’avènement du retour du religieux depuis les années 80.

 

Il existe une sorte de « compromis » général par rapport à cette question autour de laquelle il y a des consensus tacites effectués à l’insu des femmes et de leur émancipation dans les différentes sociétés islamiques. De l’islam officiel des Etats, aux opposants islamistes en passant par les hauts conseils des Oulémas musulmans ou dans la culture populaire, c’est d’une même vision traditionaliste, misogyne et clairement discriminatoire envers les femmes dont il s’agit.

 

« L’islam honore la femme, lui a octroyé tous ses droits, l’a protégé… » C’est là l’essentiel du propos ressassé par beaucoup de musulmans, très souvent sincères, puisqu’il reflète dans le fond la véracité du message spirituel, mais qui n’en reste pas moins très insuffisant voire infructueux sur le plan de l’argumentaire. Un discours sur la défensive, qui s’essouffle avec le temps, car il s’évertue à démentir des imputations malheureusement contredites par le constat cinglant de la réalité des sociétés islamiques. Il y a en effet un contraste patent entre ce discours là et la réalité d’un vécu qui se dit et se veut respectueux des valeurs islamiques et où l’on justifie les pires discriminations envers les femmes.

 

En effet, même si la situation des femmes musulmanes a connu ces dernières décennies une amélioration concrète et varie de façon notable d’un pays à l’autre, (code moudawwana au Maroc , statut personnel en Tunisie)  selon le niveau socioculturel et éducationnel, il n’en reste pas moins que le statut juridique des  femmes musulmanes reste, de loin, des plus précaires au monde.

 

Il faudrait savoir reconnaître que les schémas éducatifs traditionnels, les dispositions discriminatoires du droit de la famille et le code du statut personnel, perpétuent, selon les pays, et à des degrés variables, de façon flagrante les inégalités et la subordination des femmes et ce dans la grande majorité des pays islamiques.

 

De l’analphabétisme (les taux dans les pays arabes sont les plus élevés au monde : 40% d’analphabétisme  - 65 millions - dont les femmes représentent les deux tiers), au statut juridique de mineure à vie, à l’absence d’autonomie, aux obstacles flagrants à la participation politique (5% de femmes parlementaires), en passant par les mariages forcés et les crimes d’honneur dans certaines régions…Tous ces abus restent malheureusement l’apanage quotidien d’un grand nombre de musulmanes et sont dans la plupart des cas cautionnés par une certaine lecture du religieux.

 

Le discours islamique actuel sur les femmes se réduit à une vision simpliste et normative centralisée essentiellement sur « les dérives tentatrices du corps des femmes »,  ou « Fitna »  et  présente comme seule alternative, l’invisibilité physique et sociale des femmes comme « défouloir » de toutes les frustrations culturelles.  

Ce discours traditionaliste est donc en déphasage par rapport à la réalité sociale musulmane qui évolue et se transforme de manière fulgurante sous les yeux de certains  savants musulmans qui,

dépassés, par ces évolutions, s’entêtent  à chercher des solutions surannées dans les réflexions de leurs prédécesseurs d’il y a plusieurs siècles.

Ce refus de cautionner toute tentative de « réforme » en particulier pour la condition des femmes est très révélateur de la crise identitaire que vit le monde musulman. En effet, les femmes, semblent représenter, le « dernier rempart » à défendre pour des sociétés minées par d’autres paramètres de précarité sociopolitique et économique et par défaut ces sociétés s’accrochent, tant que faire se peut, à des valeurs morales très rudimentaires.  Les femmes sont ainsi condamnées à être les « gardiennes » de cette morale et par extension de la religion elle même.  

Les musulmans, quant à eux, confrontés à cette hostilité grandissante envers leur religion et devant l’avalanche d’accusations érigés à leur encontre, s’enferment, quant à eux, dans un discours non moins caricatural puisque essentiellement alimenté par la réaction passionnelle et le repli justificatif. Soumis à une conjoncture internationale et des conditions politiques perçues comme humiliantes, le monde de l’islam, affaiblit déjà par un enfermement traditionnel, la pauvreté, le sous développement et le despotisme de ses régimes, perçoit ce genre de critiques et particulièrement celles qui ont attrait aux femmes, comme une marque d’ingérence culturelle totalement inconvenante voire intolérable.

Le discours de libération prônée par l’occident ne peut être crédible pour une certaine vision islamique car en plus d’être discrédité par des politiques internationales fondamentalement injustes envers un grand nombre de pays musulmans, il touche à l’un des derniers remparts de l’identité musulmane à savoir la femme. En effet, la femme semble représenter pour ce monde islamique à l’identité meurtrie, le dernier bastion à défendre…La femme musulmane symbolise à l’heure actuelle la victime de choix de cette construction idéologique en miroir et elle se doit, étant donné, sa position de gardienne de la morale, d’incarner le « contre modèle » de celui véhiculé par un occident

considéré comme étant en pertes de valeurs.

 

Et l’on remarque que malgré l’avènement des révolutions arabes, du vent de libération qui a soufflé dans ses contrées, la lutte réussie contre les régimes despotiques, a laissé place à une grande confusion au sein de l’espace politique et où malheureusement les femmes, malgré le rôle majeur qu’elles ont joué au sein des différentes révolutions, sont encore une fois marginalisées de l’action politique au nom d’une certaine lecture du religieux. (Egypte, Lybie, Yemen...à moindre degré, la Tunisie qui semble émerger…le Maroc même sans révolution, les fortes manifestations qui ont mené au changement de la constitution, le nouveau gouvernement affiche un retour en arrière par rapport à la représentation féminine !).

 

 

Analyses et conclusions :  répondre à la question femmes musulmanes et stéréotypes occidentaux : réalités ou préjugés ?

 

Comme on l’a évoqué au tout début de la conférence, la réalité et les préjugés cohabitent ensemble au sein de cette thématique très complexe des femmes musulmanes.

 

La réalité au sein de laquelle vivent les femmes musulmanes est donc très complexe car elle ne répond pas à cette  vision essentialiste qui est reproduite internationalement et qui dépeint les  femmes musulmanes comme étant soumises et aliénées.

Les femmes musulmanes représentent une diversité et une pluralité de vécus, d’histoires, de souffrances, de luttes mais aussi de réussite et d’exploits de tous les jours…

 

Alors,  est ce le religieux et donc l’islam apparemment si présent dans ces sociétés qui serait à l’origine de cette culture de discrimination envers les femmes ou bien les innombrables interprétations qui en ont été soutirées et qui ont fait de cette religion un puissant outil du patriarcat?

 

A ce niveau là je pense qu’il faudrait faire la part des choses et refuser l’assertion qui prétend que la discrimination et la dévalorisation des femmes seraient inhérentes aux textes sacrés de l’islam. Nul ne peut contester la situation déplorable des femmes  telle qu’elle est vécue dans les sociétés majoritairement islamique, mais il serait juste de distinguer entre le contenu spirituel du message de l’islam et ses diverses interprétations comme il faudrait savoir différencier entre ce qui émane d’une culture locale sociale structurellement patriarcale et ce qui relève des prescriptions spirituelles.

 

Il faudrait savoir différencier entre les sources originelles où l’on retrouve des orientations véritablement émancipatrices pour les femmes et les interprétations classiques qui ont vidé le message de son contenu spirituel et l’ont figé dans des compilations à contenu strictement juridique. Il est important de reconnaître que ce n’est pas le message spirituel de l’islam qui est intrinsèquement incompatible avec les droits de la femme mais l’interprétation sélective et abusive des lois et textes centraux par les autorités patriarcales.

 

Il faudrait donc pour ne pas tomber dans cette vision stéréotypée savoir faire la part des choses entre le message spirituel de l’islam et le vécu, les traditions et les systèmes religieux qui ont sclérosé toute la pensée islamique. Les raisons de ce verrouillage sont complexes, mais celle qui prédomine est principalement représentée par l’instrumentalisation politique du religieux en terres d’islam et ce depuis des siècles. Le drame du monde musulman n’est pas religieux il est essentiellement politique.

 

Il est curieux de constater que la question des  femmes  et celle du pouvoir politique en islam, sont étroitement et étrangement liées du point de vue historique.

En effet, les femmes ont été – et le sont toujours-  victimes d’un double despotisme : le patriarcat et l’autocratie. Ce sont ces deux pouvoirs absolus qui vont les  bâillonner  pendant des siècles et contribuer à la régression progressive de leur statut entérinée par ailleurs par le déclin de l’ensemble de la civilisation islamique.

 

Si l’on rajoute à tout cela le choc de la rencontre avec la colonisation occidentale on pourra aisément comprendre l’ampleur des dégâts dévastateurs sur le statut de la femme et ses séquelles traumatiques perceptibles encore de nos jours. Il faudrait aussi sur ce point rappeler l’importance de la dimension coloniale et de ses conséquences sur la question de la femme. En se protégeant contre le colonisateur, le monde musulman a d’abord séquestré la femme de peur qu’elle ne s’identifie à l’émancipation occidentale et qu’elle n’en transmette des valeurs jugées comme étant forcément anti-islamiques …

 

L’époque fragile des indépendances n’a pas pour autant été profitable, ni pour les femmes ni pour les hommes musulmans puisque bon nombre de slogans comme le nationalisme, le panarabisme, la laïcité, la démocratie, sont restés des slogans creux,  dévoyés, et qui  ont surtout légitimé les pires exactions, perpétrées par des régimes corrompus, sous la bénédiction des anciens colonisateurs…

Conclusion :

 

C’est ainsi que les  femmes musulmanes, dans leurs  représentations les plus diverses, restent  prises en otage entre deux visions conflictuelles et en éternelle confrontation : celle d’une approche musulmane traditionaliste, figée et anachronique et celle d’une approche occidentale ethnocentrique, véhiculant stéréotypes et clichés réducteurs et devenant actuellement de plus en plus islamophobe.

Entre ces deux perceptions c’est avant tout la parole des femmes musulmanes en question qui est dangereusement occultée…Et l’émancipation des femmes musulmanes ne peut réellement devenir effective sans une véritable prise de conscience et prise de la parole de ces femmes musulmanes elles mêmes et non des autres qui parleront pour elles et à leurs places !

Elles doivent donc se forger un autre chemin, en dehors de ces sentiers battus, au nom de leurs convictions spirituelles mais aussi de leur perspective  de femmes modernes. C’est donc sur un double registre, celui des droits humains universels et celui d’un référentiel religieux réapproprié que le chemin d’une véritable émancipation des femmes musulmanes peut avoir lieu et avoir toutes les chances de réussite.

 

Je voudrais avant de terminer préciser que c’est au sein de cette troisième voie que je m’inscris en tant que femme engagée dans la lutte des droits des femmes musulmanes à l’égalité et la dignité. Une troisième voie qui se doit d’être libérée aussi bien de l’aliénation occidentale que du  traditionalisme religieux sclérosé…

 

Une troisième voie, qui, au nom d’un référentiel et d’un enracinement spirituel, mais aussi au nom des valeurs partagées d’égalité, de dignité et de respect des droits individuels, lutte contre les extrémismes de tout bord et refuse la dévalorisation juridique, culturelle et sociale des femmes.

 

 

On a bien vu lors de ces révolutions arabes que les  femmes se sont  révoltées contre deux discours : celui de la lecture culturelle traditionaliste et celui des despotismes politiques. C’est dans ce sens qu’Il faudrait savoir déconstruire cette double composante : celle des inégalités sociopolitiques et celles des discriminations sexistes traditionnelles. Et c’est en travaillant sur ces deux volets démocratie et réformisme religieux que les transformations sociales peuvent avoir véritablement des chances de  se concrétiser au sein de la réalité du terrain…

Il y aura surement encore d’énormes résistances à ce processus d’émancipation mais la dynamique est déjà en marche…et rien ni personne ne peut inverser le cours de l’histoire quand le changement est là…et l’histoire du monde musulman qui est de nouveau en marche  ne pourra désormais jamais plus se faire sans ses femmes .

Asma LAMRABET


       Femminismo islamico: i precetti del Corano a partire dalla prospettiva

       dell’uguaglianza di genere[6]

 

1-      Introduzione

 

Molti sembrano dubitare della legittimità del Femminismo Islamico (FI): perché tutto attualmente sembra dimostrare che femminismo e islam non possono che contraddirsi, anzi opporsi. E’ proprio grazie agli studi accademici e alle ricerche elaborate dalle donne nell’ambito del FI che si sono potuti mettere in evidenza all’interno dei testi sacri dell’islam dei principi fondanti dell’eguaglianza fra uomo e donna.

 

La prospettiva dell’eguaglianza di genere, o dell’approccio di genere, è recente nella strategia per la promozione dell’eguaglianza tra uomo e donna (adottata a Pechino nel 1995). Questa attualmente è considerata essenziale e addirittura prioritaria in tutti i campi al fine di assicurare l’eguaglianza dei diritti. Noi vogliamo dimostrare come a partire dal Corano e dai suoi precetti stabiliti 1400 anni fa e grazie ad una lettura riformista possiamo ritrovarvi dei concetti chiave riguardo la formulazione degli obiettivi della prospettiva di genere, cioè la promozione dell’uguaglianza dei diritti, così come dell’equa divisione delle risorse e delle responsabilità tra uomo e donna.

 

Ma prima bisognerebbe smontare qualche idea preconcetta sul femminismo e sull’islam

 

2-      Rimettere a posto alcune idee: smontare le idee preconcette.

 

Il femminismo in senso lato indica in un certo immaginario collettivo un movimento femminile, nato in occidente, che ha rivendicato l’uguaglianza, l’emancipazione e la liberazione da tutte le alienazioni, compresa quella culturale e patriarcale e, in particolare, quelle che hanno a che fare con la religione.

 

Quanto all’islam di per sé e in modo specifico la questione delle donne musulmane, essi riflettono un sistema di pensiero e un’ideologia che -secondo la visione di molti- si sono costruiti fuori dalla storia, dall’occidente e dalla modernità e sembrano costituire da un certo momento in poi l’esempio per eccellenza di una religione che opprime le donne!

 

Allora come si può parlare di femminismo musulmano quando le contraddizioni sono evidenti e i due concetti in antitesi?

 

Bisognerebbe innanzitutto smontare l’idea che esiste un solo femminismo:  

 

Definire il femminismo: Storicamente si può formulare la definizione di femminismo a partire da due ipotesi che apparentemente sembrano essere le uniche.

 

1-      Definizione ideologica restrittiva: che considera il femminismo una corrente politica che è nata in occidente e in modo specifico negli Stati Uniti e in Francia dopo la rivoluzione industriale e cioè verso la seconda metà del XIX secolo.

2-      Definizione universalista: che considera il femminismo come prodotto di una continua lotta delle donne contro l’oppressione patriarcale e che concepisce quindi una continuità di questa lotta lungo tutta la storia dell’umanità fuori da un contesto storico e/o geografico dato.

 

Peraltro è difficile delineare una teoria unica e precisa del femminismo dal momento che quest’ultimo è attraversato da varie correnti teoriche eterogenee, ma che tentano tutte di spiegare e di capire perché le donne si ritrovano, in un contesto dato e in un preciso momento in una condizione di subordinazione.

 

Comunque, per chiarire ciò e tentare di fornire un approccio concettuale del femminismo, si può riprendere questa definizione così come è stata formulata da Louise Toupin: “Il femminismo è una presa di coscienza prima individuale e poi collettiva seguita da una rivolta contro il modo in cui sono stati organizzati di rapporti tra i sessi e la posizione subordinata che le donne vi occupano in una data società, in un dato momento storico. Si tratta anche di una lotta per cambiare questi rapporti e questa situazione

Il problema è che c’è confusione tra i principi universali della lotta delle donne (femminismo) e i differenti modelli di femminismo.  

 

Esistono dei principi universali che costituiscono il fondamento delle lotte delle donne, di tutte le donne, principi che attraversano il mondo intero e i diversi modi di lottare: uguaglianza, lotta contro la discriminazione, libertà, dignità…mentre i modelli di lotta sono differenti e specifici in ciascun contesto: quindi sono dei femminismi.

 

Esempi di Differenti modelli:

 

- Il femminismo liberale: egualitario o riformista (fedele allo spirito della rivoluzione francese).

- Il femminismo radicale: differenzialista

- Il femminismo politico o marxista

- Evoluzioni attuali e metamorfosi: Gender studies (anni ’70); il Movimento Queer (gender

   trouble di Judith Butler); il femminismo ecologista…

- Il femminismo religioso: teologia della liberazione, cattolico (L’autre parole Quebec) o ebraico,

   buddista….

- Il femminismo postcoloniale: femminismo che denuncia i rapporti di dominazione a cui sono state soggette le donne del Sud. Il femminismo postcoloniale è un’entità plurale rappresentata dal femminismo nero, il femminismo “chicana” (ispanico), il femminismo autoctono (dei popoli nativi d’America), il femminismo arabo-musulmano e il femminismo indigeno. Questi diversi movimenti, pur mantenendo la loro specificità hanno contribuito a far emergere un nuovo pensiero femminista impegnato a ripensare l’oppressione delle donne alla luce dell’oppressione coloniale e dei contesti specifici delle donne del terzo mondo. Dei concetti come la colonizzazione, il razzismo o la schiavitù, assenti nel pensiero femminista egemone sono stati studiati dalle donne del Sud  partire dalla loro propria esperienza ed hanno permesso loro di sviluppare una loro propria strategia di resistenza e mobilitazione.

 

Il principale fronte comune di questi diversi movimenti è quello del rifiuto del discorso femminista egemone che ha fatto della condizione delle donne bianche della classe media occidentale LA condizione universale delle donne. Il femminismo post coloniale si colloca in questo senso, in rottura con il femminismo egemone che non ha considerato la voce delle altre donne, quella della così detta maggioranza silenziosa delle donne, rappresentata dalle nere, le ispaniche, le asiatiche e le donne arabe[7]. Il femminismo egemone ha costruito lo stereotipo delle donne del terzo mondo come donne passive, sempre vittime di una oppressione generalizzata e totalizzante. Così, focalizzandosi su questa immagine perfetta di vittima, le femministe occidentali, attraverso un sottile gioco del rovescio, vedono la loro propria emancipazione rivalorizzata e confermano la propria superiorità in quella che certe femministe post coloniali hanno chiamato «la differenza del  terzo - mondo». Questa differenza definisce la donna del terzo mondo come «religiosa» leggi «non progressista», «familista» leggi «tradizionale», «legalmente minorenne» leggi «che non ha ancora i suoi diritti», «illetterata» leggi «ignorante». Questa immagine in negativo della donna del terzo-mondo è necessaria per creare quella della donna occidentale emancipata, liberata, autonoma: l’una non esisterebbe senza l’altra[8] (scritti di Chandra Mohanty).

 

Il femminismo post coloniale, quindi, ha effettuato due grandi rotture in questo discorso teorico femminista egemonico, la prima è stata quella di decostruire l’immagine della donna del terzo -mondo così come è stata veicolata nel pensiero femminista dominante, la seconda  è stata quella di porre la domanda essenziale: “chi parla per chi?”.

 

Conclusioni:

 

Ecco che le donne musulmane ne hanno avuto abbastanza di vedere le altre parlare a nome loro, di vedere che erano soggetti passivi della loro storia e del loro vissuto. Hanno deciso di parlare loro per se stesse e di smontare loro stesse che l’islam, la loro religione, fosse la causa della loro oppressione e della loro disuguaglianza! Di qui l’emergere del femminismo islamico.  

 

3-      Il femminismo islamico: emergere di un movimento di rinnovamento femminile nell’islam

 

Smontare l’idea di un islam che opprime le donne e di donne musulmane soggetti  passivi della loro storia.

 

Non lo si ripeterà mai abbastanza: non è l’islam che opprime le donne, ma piuttosto la lettura che ne è stata fatta da secoli e che attraverso interpretazioni umane e l’accumularsi di compilazioni esegetiche ha radicato una visione discriminatoria delle donne sicuramente favorita da culture strutturalmente patriarcali.

 

E’quello che alla fine hanno capito alcune donne musulmane che da una ventina d’anni cercano di lottare contro questa lettura discriminatoria e armate del loro sapere accademico, teologico e sociologico sono andate a vedere direttamente cosa dicono i testi sacri dell’islam. Così hanno scoperto che c’era una discrepanza enorme tra ciò che diceva il messaggio spirituale e ciò che raccomandava la maggior parte delle letture interpretative e in particolare quelle del diritto musulmano o Fiqh.

 

Il rinnovamento femminile in questione

 

Non si può quindi fare a meno di constatare l’esistenza all’interno del mondo musulmano, ma anche nelle comunità che vivono in occidente, di una dinamica femminile in cammino che lungi dall’essere uniformata pare essere attraversata da sensibilità diverse e di cui, ciascuna a suo modo, cerca di mettere in discussione il conformismo socio politico tradizionale dello status delle donne.

 

Il fatto è che di fronte ad un discorso islamico che rimane ancorato al passato e completamente scollato nei confronti della realtà attuale le nuove generazioni di musulmane -e di musulmani-esprimono il bisogno di una terza via che non toglierebbe nulla né alla loro ricerca di senso spirituale né alla loro aspirazione ad una cittadinanza egualitaria decente in questa modernità «globalizzata».

 

L’emergere di questa nuova coscienza femminile musulmana all’interno di questa globalizzazione e di questa crisi identitaria diffusa costituisce un posta in gioco fondamentale per il futuro delle società arabo musulmane come anche delle comunità e delle minoranze musulmane in occidente. Il vissuto delle donne musulmane per sia quanto diversificato, sembra  rappresentare uno stesso dilemma, quello di donne che per la maggior parte si ritrovano lacerate tra la loro appartenenza culturale -con le sue costrizioni e contraddizioni- e la loro ambizione legittima a più libertà, più autonomia e più diritti egualitari riconosciuti.

 

Il nucleo di questo rinnovamento femminile nell’islam risiede nella rivendicazione legittima da parte di donne musulmane, accademiche, teologhe, universitarie, militanti di associazioni ed altre, a sviluppare un discorso che sia loro proprio. Bisogna dirlo chiaramente le donne musulmane non ne possono più di essere «oggetto di studio», di essere dei carpi espiatori, di vedere che si parla sempre al loro posto e che le si rimanda sempre allo stesso stereotipo: quello di essere perennemente minori, soggetti passivi della loro storia e ostaggi di discorsi che gli altri fanno e rifanno a seconda degli avvenimenti geopolitici!

 

E’ così che una della principali tappe di questo rinnovamento è stato quello di scomporre il discorso religioso tradizionalista e profondamente discriminatorio nei confronti delle donne proponendo contemporaneamente una nuova lettura delle scritture a partire da una prospettiva femminile.

 

Tutto ciò innanzitutto per ovviare alle lacune storiche dovute all’assenza della visione femminile nella produzione islamica, ma anche allo scopo di apportare le prospettive e le scelte proprie delle donne musulmane d’oggi. Questo progetto intellettuale è un progetto di emancipazione delle donne che costituisce una nuova via contestualizzata di comprensione dell’islam, comprensione che da molto tempo era monopolio esclusivo dei soli uomini e Ulema musulmani.

 

Il discorso portato avanti da questa nuova generazione di donne musulmane, è un discorso che paradossalmente di fronte all’idea veicolata di un islam generatore di discriminazioni  sottolinea la centralità e l’importanza della dinamica liberatrice nell’ambito del mondo islamico . Avendo avuto accesso alle fonti testuali e in particolare alla dimensione etica del Corano queste donne hanno capito che la loro reclusione millenaria non dipende dal  messaggio spirituale dell’islam, ma piuttosto da tutte le interpretazioni umane che si sono accumulate nelle compilazioni accademiche religiose –oltre che nella mentalità- e che sono state favorite da contesti socio culturali strutturalmente sfavorevoli alla presenza femminile nello spazio pubblico.

 

Il patriarcato di ieri e di oggi connesso a manipolazioni politiche ricorrenti della religione hanno costituito nel corso dei secoli fino ad oggi i principali meccanismi di controllo delle donne musulmane -e degli uomini-.

 

Le donne portatrici di questo rinnovamento sono quindi coscienti della dinamica determinata dal messaggio spirituale dell’islam per la liberazione delle donne nel corso della rivelazione storica.

 

E’ in questo senso che cercano di tornare allo «spirito» del Corano che ha giocato un ruolo propulsivo in  materia di emancipazione delle donne e questo spesso in controtendenza con i costumi patriarcali dell’epoca. Grazie alle loro ricerche teologiche ed accademiche queste donne hanno dimostrato, argomenti testuali del Corano alla mano, che il discorso sull’uguaglianza tra uomini e donne è assolutamente valido all’interno stesso dell’islam e che le fonti dell’islam non costituiscono in alcun modo un ostacolo all’instaurarsi dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne. Queste così dette proibizioni religiose che riguardano le donne e che ci tirano fuori in ogni occasione semplicemente non esistono nei testi sacri, ma solo nella lunga tragedia storica di una lettura del religioso che è rimasta ostaggio delle sue derive secolari.

 

Per questo l’approccio del FI consiste in una nuova lettura dei testi a partire da una prospettiva femminile e riformista.

 

4-      Necessità di una lettura riformista: Lo studio approfondito e l’approccio riformista delle fonti devono tener conto della presenza di tre diversi livelli nei versetti del Corano:

 

a-      Versetti universali: che prescindono dal genere e che mettono l’essere umano (al insan) al centro di tutta la filosofia spirituale. Essi costituiscono di fatto la base del messaggio coranico, e riproducono i valori universali di giustizia e di uguaglianza. Questi versetti sono da considerare come il riferimento universale da condividere con il resto dell’umanità. Sono questi i valori che sono attualmente sanciti da tutte le convenzioni internazionali che promuovono innanzitutto il rispetto dei diritti e della dignità umana (wa lakad karamna bani adam).

 

b-      Versetti congiunturali: Che sono stati rivelati per rispondere a domande esplicite all’epoca della rivelazione, come quelle riguardano la schiavitù, la preda di guerra, il concubinato, o quelle che attengono alle punizioni corporali, e che corrispondono ad un tappa conclusa della civiltà umana.

 

c-       Versetti specifici: Che si volevano in accordo con le aspettative e le strutture patriarcali dell’epoca e che hanno avvallato dei comportamenti discriminatori, o che li hanno attenuati senza peraltro abrogarli. E’ questo il caso della poligamia che fu considerata come una concessione agli arabi dell’epoca molto legati a questa tradizione, ma che contemporaneamente venne condizionata per dissuaderne i sostenitori. Bisogna ricordare che i primi riformisti musulmani dell’epoca della Nahada non hanno avuto alcuna esitazione a rivendicare la soppressione pura e semplice della poligamia (Mohammed Abdou in Egitto e Allal el Fassi in Marocco).

 

Questa è una visione globale che deve essere capita a livello dell’etica del Corano, cioè quella che attribuisce la priorità ai valori universali di giustizia, uguaglianza e rispetto della dignità umana.

 

Ritornare sulla visione degli uomini e delle donne entro la visione olistica vuol dire ritornare sulla visione degli «esseri umani» e sullo sconvolgimento spirituale che ha conosciuto la civiltà umana con l’avvento dell’islam cioè quello della liberazione dell’essere umano da tutte le oppressioni. La base del messaggio coranico si trova in questa esigenza di giustizia (el adl: 300 volte nel Corano) e di liberazione: cosa che ritroviamo nei concetti di «almooustadaafoune fil ard et muhrarran»

 

La ragione, la giustizia, la libertà di coscienza (el aql, el adl,  huryate al aquida man chaa falyouamine) sono i valori fondanti che sono al centro della fede coranica e che l’islam è venuto a far rinascere dalle ceneri dell’oblio dei messaggi precedenti e dall’indifferenza del cuore degli esseri umani.

 

E’ a partire da questi tre valori, veri fondamenti dell’islam che bisognerebbe rileggere oggi il Corano e rimettere la tematica delle donne al centro dell’esigenza coranica di liberazione degli esseri umani.

 

Esempi di concetti chiave di uguaglianza…(omissis)

 

Riferimenti ai documenti annessi: versetti egualitari…(omissis)

 

 

Conclusioni:  Il FI: essere femminista musulmana vuol dire liberarsi sia del patriarcato religioso che di quello politico 

 

La maggioranza delle donne mussulmane di oggi aspirano a vivere un islam addolcito, in armonia con le loro libertà individuali e la loro ricerca di senso. Esse vogliono vivere come donne, musulmane, pienamente attrici dei loro cambiamenti, dei loro sogni e delle loro ambizioni…E’ importante smontare e demistificare l’immagine stereotipata del mondo musulmano e soprattutto delle sue donne mediante dibattiti realisti e costanti per mettere in discussione l’approccio etnocentrico alla storia delle lotte per l’uguaglianza che tende a presentare le donne occidentali e il referente occidentale come i soli detentori degli ideali egualitari.

 

Tutte le lotte umane per la giustizia sociale, l’uguaglianza e la libertà e i loro protagonisti, quali essi siano, devono essere rispettati e accettati all’interno di un referente umano veramente universale. Nessuna cultura e civiltà ha il monopolio dell’uguaglianza, della perfezione democratica, o ancora meno di una società ideale. Ne è prova il fatto che la primavera araba ha mobilitato uomini e donne in quanto cittadini/cittadine sul fronte delle rivendicazioni per la dignità, l’uguaglianza e la democratizzazione della vita politica. Anche se il futuro è ancora incerto, resta fermo il fatto che all’interno del mondo arabo e musulmano il FI  è una opportunità sia per le donne che per gli uomini, dato che la liberazione delle donne a partire dal loro riferimento islamico permetterà di portare a compimento la transizione democratica attualmente in corso. 

 

 

 

Féminisme islamique : les préceptes du Coran à partir de la perspective d’égalité de genre[9]

 

 

1-     Introduction :

 

Beaucoup semblent douter de la légitimité du FI : car tout semble démontrer actuellement que F et islam ne peuvent que se contredire voire s’opposer. Or c’est bien grâce aux études académiques et recherches élaborées par les femmes dans le domaine du FI, que l’on a pu mettre en évidence au sein des textes sacrés de l’islam , des principes fondateurs de l’égalité entre H et F.

La perspective de l’égalité de genre ou approche genre est récente dans la stratégie de promotion de l’égalité entre H et F (adoptée en 1995 à Beijing). Elle est actuellement considérée comme étant essentielle voire prioritaire dans tous les domaines afin d’assurer cette égalité de droits. Nous allons démontrer comment à partir du Coran et de ses préceptes édictés il y a 1400 ans  et grâce à une lecture réformiste on peut y retrouver des concepts clés quant à la formulation des objectifs de l’approche genre, à savoir,   la promotion de l’égalité des droits ainsi qu’un partage équitable des ressources et responsabilités entre les F et les H.

Mais avant cela, il faudrait déconstruire quelques idées reçues sur le féminisme et islam.

 

2-     Remettre quelques idées en place : déconstruire les idées reçues :

 

Le féminisme dans sa conception la plus large désigne, dans un certain imaginaire collectif,  un mouvement féminin, né en Occident,  qui a revendiqué l’égalité, l’émancipation et la libération de toutes les aliénations aussi bien culturelles, que patriarcales et  dont notamment celles en rapport avec le religieux.

 

L’islam quant à lui (et particulièrement cette question des femmes musulmanes) reflète quant à elle un système de pensée et une idéologie qui  – selon la vision de beaucoup – s’est édifié en dehors de l’histoire, de l’occident, de la modernité…et semble illustrer depuis un certain moment maintenant la religion qui opprime les femmes par excellence !

 

Alors comment peut-on parler de féminisme musulman alors que les contradictions sont flagrantes et que les deux concepts apparaissent antinomiques.

 

 Il faudrait d ‘abord commencer par déconstruire l’idée de l’existence d’un seul féminisme :

 

Définir le féminisme : historiquement, on peut formuler la définition du féminisme selon deux hypothèses, apparemment exclusives.

 

1- Définition idéologique restrictive : qui considère que le féminisme est un courant politique qui a pris naissance en Occident - plus particulièrement aux Etats Unis et en France- après l’âge industriel, à  savoir,  vers la deuxième moitié du XIXe siècle. 

 

2- Définition universaliste :  qui considère que le féminisme est le produit  d’une lutte continue des femmes contre l’oppression patriarcale et qui conçoit donc une continuité de cette lutte au cours de l’histoire de l’humanité en dehors d’un contexte historique ou géographique donné

 

Il reste aussi difficile de cerner une théorie  précise et unique du féminisme, puisque ce dernier est traversé par divers courants théoriques hétérogènes, mais qui, tous tentent d’expliquer et de comprendre pourquoi les femmes, se retrouvent-elles, dans un contexte donné et à un moment précis, dans une position de subordination .

 

On peut cependant, pour illustrer le propos et tenter de donner une approche conceptuelle du féminisme, reprendre cette définition telle que formulée par Louise Toupin : « Le féminisme est une prise de conscience d’abord individuelle, puis ensuite collective, suivie d’une révolte contre l’arrangement des rapports de sexe et la position subordonnée que les femmes y occupent dans une société donnée, à un moment donné de son histoire. Il s’agit aussi d’une lutte pour changer ces rapports et cette situation »

 

Le problème est qu’il y a Confusion entre les principes universels de la lutte des femmes (féminisme) et les différents modèles de féminisme

 

Il existe des  principes universels  qui constituent le fondement des luttes des femmes de toutes les femmes à travers le monde et les différents modèles de lutte : égalité, lutte contre la discrimination, liberté, dignité…tandis que les modèles de lutte sont différents et spécifiques à chaque contexte : donc des féminismes

 

Exemples de Différents modèles :

                -     Le féminisme libéral : égalitariste ou réformiste (fidèle à l’esprit de la révolution

                      française)

                -     Le féminisme radical : différentialiste

                -     Le féminisme politique ou marxiste

                -     Evolutions actuelles et métamorphoses :

                     Gender studies (années 70) , le Mouvement Queer (gender trouble de Judith

                     Butler) ;le  féminisme écologique…

-          Le féminisme religieux : théologie de la libération , catholique ( l’autre parole Québec) ou juif., bouddhiste..

-          Le féminisme postcolonial : féminisme qui dénonce les rapports de domination dont sont restées soumises les femmes du Sud. Le féminisme postcolonial est une entité plurielle représentée par le féminisme noir, le féminisme chicana (latino), le féminisme autochtone (des peuples amérindiens), le féminisme arabo-musulman et le féminisme indigène. Ces différents mouvements, tout en gardant leur propre spécificité, ont contribué à faire émerger une nouvelle pensée féministe qui s’est attelée à repenser l’oppression des femmes à la lumière de l’histoire coloniale et des contextes particuliers des femmes du tiers monde. Des concepts comme la colonisation, le racisme ou l’esclavage, absents dans la pensée féministe hégémonique, ont été étudiés à partir de la propre expérience des  femmes du Sud et ont permis à ces dernières de développer leur propre stratégie de résistance et de mobilisation.

Le principal front commun des ces différents mouvements est sans aucun doute celui du refus du discours féministe hégémonique qui a érigé la condition des femmes blanches de la classe moyenne occidentale comme étant LA condition universelle des femmes.  Le féminisme postcolonial se situe, dans ce sens, en rupture avec le féminisme hégémonique qui n’a pas pris en compte la voix des autres femmes autrement dit de la majorité silencieuse des femmes , représentée par les noires, les latinos, les asiatiques et les femmes arabes[10].. Le féminisme hégémonique a surtout érigé les femmes du tiers monde comme des femmes  passives, toujours victimes d’une oppression généralisée et totalisante. En se focalisant ainsi sur ces victimes de choix, les féministes occidentales, par un subtil jeu d’inversion , voient leur propre émancipation revalorisée et confirment leur supériorité dans ce que certaines féministes postcoloniales ont dénommé « la différence du tiers - monde » . Cette différence définit la femme du tiers monde comme « religieuse » comprenez « pas progressiste », « familialiste » comprenez « traditionnelle » , « légalement mineure » comprenez « qu’elles n’ont pas encore leurs droits », « illettrée » comprenez « ignorante » … : cette figure repoussoir de la femme du tiers monde est nécessaire pour créer celle de la femme occidentale émancipée, libérée, autonome, l’une n’existerait pas sans l’autre[11]. (travaux de Chandra Mohanty).

 

Le féminisme postcolonial,   a   donc, opéré deux ruptures majeures dans le discours théorique féministe : la première étant la déconstruction de l’image de la femme du tiers monde telle qu’elle a été véhiculée dans la pensée féministe dominante et la deuxième rupture étant de poser la question essentielle de qui parle pour qui ?

 

Conclusion :

 

Justement les femmes musulmanes ont eu assez de voir les autres parler en leur nom, de voir qu’elles étaient des actrices passives de leur histoire et de leur vécu. Elles ont décidé de parler pour elles mêmes et de déconstruire elles mêmes l’idée que l’islam, leur religion était la cause de leur oppression et de leur inégalité ! D’où l’émergence du FI.

 

3-     Le Féminisme islamique : émergence d’un mouvement de renouveau féminin en islam

 

Déconstruire l’idée d’un islam oppresseur des femmes et des femmes musulmanes actrices passives de leur histoire :

 

On ne le dira jamais assez : ce n’est pas l’islam qui opprime les femmes mais bien la lecture qui en a été faites depuis des siècles et qui à travers des interprétations humaines et l’accumulation des compilations d’exégèse ont enraciné dans les mentalités une vision discriminatoire des femmes, favorisée certes par des cultures structurellement patriarcales.

C’est ce qu’ont finalement compris des femmes musulmanes qui depuis une 20 d’années maintenant,  tentent de lutter contre cette lecture discriminatoire et armées de leurs savoir académique, théologique et sociologique sont elles mêmes partis voir ce que disent les textes sacrés de l’islam. Elles ont alors  découvert qu’il y a avait un décalage énorme entre ce que disait le message spirituel et ce que prônait la majorité des lectures interprétatives et notamment celles du droit musulman ou Fiqh.

 

Le renouveau féminin en question

 

- Force est de constater donc, l’existence, au sein du monde musulman, mais aussi dans les communautés vivant en Occident,  d’une dynamique féminine en marche qui loin d’être uniformisée, semble être traversée par des sensibilités diverses et dont chacune à sa manière, tente de  remettre en cause le conformisme sociopolitique traditionnel du statut des femmes.

 

C’est que, devant un discours islamique qui reste passéiste et complètement décalé par rapport à la réalité actuelle, les nouvelles générations de musulmanes - et de musulmans –, formulent le besoin d’une troisième voie qui ne ferait l’économie, ni de leur quête de sens spirituel ni de leur aspiration à une citoyenneté égalitaire décente dans cette modernité « mondialisée ».

 

L’émergence de cette nouvelle conscience féminine musulmane, au sein  de cette mondialisation et de cette crise identitaire diffuse,  constitue un enjeu primordial pour le devenir des sociétés arabo-musulmanes mais aussi des communautés et des minorités musulmanes vivant en Occident.  Le vécu des femmes musulmanes, aussi diversifié qu’il soit, semble être représentatif d’un même dilemme, celui de femmes qui pour la plupart d’entre elles, se retrouvent déchirées entre leur appartenance culturelle - avec  ses contraintes et contradictions -  et leur ambition légitime à plus de liberté, d’autonomie et de droits égalitaires reconnus.

Le noyau central de ce renouveau féminin en islam réside dans la revendication légitime de femmes musulmanes, académiciennes, théologiennes, universitaires, militantes associatives et autres à développer un discours qui leur soit propre. Il faut le dire clairement, les femmes musulmanes, ont assez d’être des « sujets d’étude », d’être des boucs émissaires, de voir que l’on parle toujours à leur place et qu’on les renvoie toujours à la même symbolique : celles d’éternelles mineures, sujets passives de leur histoire et otages de discours que les autres font et refont au gré des évènements géopolitiques!

 

C’est ainsi que l’une des principales étapes dans ce renouveau a  été de déconstruire le discours religieux traditionaliste et profondément discriminatoire envers les femmes tout en  proposant une nouvelle lecture des textes scripturaires à partir d’une perspective féminine.

 

Ceci, afin d’abord de pallier aux lacunes historiques dues à l’absence de la vision féminine dans la production islamique, mais aussi afin d’y apporter leurs propres perspectives et leurs propres choix de femmes musulmanes d’aujourd’hui. Ce projet intellectuel est un projet d’émancipation des femmes qui constitue une nouvelle voie, contextualisée de compréhension de l’islam, laquelle compréhension  a longtemps était le monopole exclusif des seuls hommes et Oulémas musulmans.

 

Le discours prôné par cette nouvelle génération de femmes musulmanes est un discours qui paradoxalement à l’idée véhiculée d’un islam générateur de discriminations, est un discours qui souligne la centralité et l’importance de la dynamique libératrice au sein du référentiel islamique . Ayant eu accès aux sources textuelles et notamment à la dimension éthique du Coran, ces femmes ont compris que ce n’est pas le message spirituel de l’islam qui est en cause dans leur réclusion millénaire, mais bien toutes les interprétations humaines, qui se sont accumulées dans les compilations académiques religieuses – mais aussi dans les mentalités - et qui ont été favorisées par des contextes socioculturels structurellement défavorables à la présence féminine dans l’espace public.

 

Le patriarcat d’hier et d’aujourd’hui intriqué à des manipulations politiciennes récurrentes de la religion ont, depuis des siècles et jusqu’à présent, constitué les principaux mécanismes de contrôle des femmes -et des hommes- musulmans.

 

Les femmes porteuses de ce renouveau sont ainsi conscientes de la dynamique impulsée par le message spirituel de l’islam dans la libération des femmes au cours de la révélation historique.

 

C’est dans ce sens qu’elles essayent de revenir à « l’état d’esprit » du Coran qui a joué un rôle propulseur en matière d’émancipation des femmes et ce souvent d’ailleurs à contre courant des coutumes patriarcales de l’époque. Grâce à leurs recherches théologiques et académiques ces femmes ont démontré, arguments coraniques à l’appui, que le discours sur l’égalité entre hommes et femmes est complètement valide de l’intérieur de l’islam et que les sources scripturaires de l’islam ne constituent en aucun cas une entrave à l’instauration des droits égalitaires entre hommes et femmes. Ces soit disant interdits religieux envers les femmes que l’on nous sort à chaque occasion n’existent tout simplement pas dans les textes sacrés mais dans la longue tragédie historique d’une lecture du religieux qui est restée otage de ses propres dérives séculaires.

Pour cela l’approche du FI consiste à faire une nouvelle lecture des textes à partir d’une perspective féminine et réformiste.

4-      Nécessité d’une lecture réformiste : L’étude approfondie  et l’approche réformiste des sources  doit tenir  compte de la présence des  trois différents niveaux de versets dans le Coran :

a- Des versets universels : qui transcendent le genre, et qui mettent l’être humain (al insan) au centre de toute la philosophie spirituelle. Ils constituent de ce fait  le socle du message coranique,  et reproduisent les valeurs universelles, de justice et d’égalité. Ces versets sont à considérer comme un référentiel universel à partager avec le reste de l’humanité. Ce sont ces valeurs qui sont prônées actuellement par toutes les conventions internationales qui prônent  avant tout le respect des droits et de la dignité humaine (wa lakad karamna bani adam).

b-      Des versets conjoncturels : qui ont été révélés afin de répondre à des demandes explicites de l’époque de la révélation comme ceux concernant l’esclavage, le butin de guerre,  le concubinage ou ceux qui ont attrait aux châtiments corporels et qui correspondent à une étape révolue de la civilisation humaine.

c-       

d-      Des versets spécifiques : qui se voulaient en accord avec les attentes et les structures patriarcales de l’époque et qui ont avalisé ou atténué des comportements  discriminatoires sans pour autant les abroger. C’est le cas de la polygamie, qui fut considérée comme une concession permise aux arabes de l’époque très attachés à cette tradition, mais tout en l’a conditionnant afin de dissuader les partisans. Il est à rappeler que les premiers réformistes musulmans de l’époque de la Nahda n’ont eu aucune hésitation à revendiquer la suppression pure et simple de la polygamie (Mohammed Abdou en Égypte et Allal el fassi au Maroc).

C’est une vision  globale qui doit être comprise au niveau du sens et de l’éthique du Coran, à savoir celle qui érige en priorité les valeurs universelles de justice, d’égalité et de respect de la dignité humaine. 

Revenir sur la vision des hommes et des femmes au sein de la vision holistique, c’est  revenir sur la vision des « êtres humains » et  au bouleversement spirituel qu’a connu la civilisation humaine avec l’avènement de l’islam à savoir celui de la « libération » de l’être humain de toutes les oppressions. Le socle du message coranique se situe là dans cette exigence de justice (el adl : 300 fois dans le Coran) et de libération : c’est ce que l’on retrouve dans les concepts de « almooustadaafoune fil ard et muhrarran »

 La raison, la justice et la liberté de conviction et (el aql, el adl,  huryate al aquida man chaa falyouamine)sont ces valeurs socles qui sont au cœur de la foi coranique, que l’islam est venu faire renaitre, des cendres de l’oubli des messages antérieures et de l’indifférence des cœurs des êtres humains.

C’est à travers ces trois valeurs, véritables fondamentaux de l’islam, qu’il faudrait relire le Coran aujourd’hui et replacer la thématique des femmes au cœur de cette exigence  coranique de la libération des êtres humains. 

Exemples de concepts clé égalité (…omissis)

Voir documents annexes : versets égalitaires  dans le Coran (…omissis)

Conclusion : Le FI : être féministe musulmane c’est se libérer aussi bien du patriarcat religieux que politique.

La majorité des femmes musulmanes d’aujourd’hui aspirent à vivre un islam apaisé, en harmonie avec leurs libertés individuelles et leur quête de sens. Elles veulent vivre en tant que femmes, musulmanes, épanouies, actrices de leurs propres changements, de leurs rêves, et de leurs ambitions…Il est important  de déconstruire et de démystifier l’image  stéréotypée du monde musulman mais surtout de ses femmes à travers des débats réalistes et constants afin de déconstruire cette approche ethnocentrique de l’histoire des luttes pour l’égalité qui tend à présenter les femmes occidentales et le référentiel occidental comme étant les seuls détenteurs des idéaux égalitaristes.

Toutes les luttes humaines pour la justice sociale, l’égalité et la liberté et ce quelques que soient leurs référentiels, doivent être  respectées et  acceptées au sein d’un véritable référentiel universel  humain. Aucune culture ni civilisation n’a le monopole de l’égalité, de la perfection démocratique ni encore moins de l’idéal sociétal…La preuve en  est que le printemps arabe a mobilisé hommes et femmes en tant que citoyens /citoyennes et par le biais de revendications en terme de dignité, égalité et démocratisation de la vie politique. Même si les lendemains sont incertains encore il reste qu’au sein du monde arabe et musulman le FI est une chance aussi bien pour les femmes que pour les hommes, puisque la libération des femmes à partir de leur référentiel islamique leur permettra de faire aboutir   la transition démocratique en marche actuellement…

Souheir Katkhouda[12]

 

Slide su attività dell’ADMI

http://www.youtube.com/watch?v=qli19HdxyWE

 

LA DONNA ARABA AGLI ALBORI DELL’ISLAM TEOLOGHE, FILOSOFE E SCIENZIATE

 

Fin dall’inizio della Rivelazione la donna ha avuto un ruolo importantissimo.

La prima persona che ha creduto nel Profeta Muhammad*  fu una donna: Khadija

Grande donna d’affari conosciuta alla Mecca, oltre che per la sua ricchezza, per la sua onestà, la sua generosità e per le sue qualità morali. Khadija era una grande commerciante, che aveva alle sue dipendenze numerosi uomini, ai quali dava lavoro. Lo stesso Muhammad*, aveva lavorato come commerciante alle sue dipendenze. Khadija aveva dato un importantissimo sostegno morale e materiale al Profeta*, che ha detto di lei:

 “Ha creduto in me prima di chiunque altro, mi ha creduto quando la gente mi accusavadi falsità e mi ha sostenuto con i suoi beni quando la gente mi ha privato.”

Il sostegno di Khadija al Profeta* fu quindi fondamentale per la rapida diffusione dell’islam, visto che fu anche grazie al sostegno economico di Khadija che Muhammad* potè dedicarsi completamente alla trasmissione del Messaggio.

L’anno in cui Khadija morì, fu chiamato dal Profeta Muhammad “‛àmu-l-huzn”, ossia “l’anno della tristezza”, per esprimere il grande vuoto lasciato da Khadija.

Le prime donne che si convertirono all’islam scelsero l’islam anche perché avevano capito che quel Messaggio divino costituiva una liberazione da ogni forma di oppressione ed ingiustizia e quindi anche dalle oppressioni maschiliste che caratterizzavano la società meccana pre-islamica, e quindi si impegnarono con grande intelligenza e tatto dando un contributo non indifferente alla diffusione dell’islam stesso.

Tra le tante voglio ricordare Um Shuraik, che molto astutamente (date le pesanti restrizioni e le violente persecuzioni messe in atto nei confronti dei primi musulmani) decise di tener nascosta la propria adesione all’islam per poter muoversi più liberamente tra le donne della Mecca per parlare loro della nuova Rivelazione che costituiva tra l’altro anche una liberazione per la donna, che prima dell’avvento dell’islam era praticamente considerata un oggetto: gli uomini ad es. potevano sposare un numero illimitato di donne, e alla morte di un uomo il figlio ne ereditava persino le mogli… L’islam è venuto anche per ridare alla donna la stessa dignità dell’uomo, che Dio le ha dato fin dalla sua creazione .

Grazie all’intelligenza di Umm Sharik molte donne sentirono parlare dell’islam e divennero musulmane.

‛Umar ibn Al-Khattab (che in seguito sarebbe diventato il secondo califfo dopo la morte del Profeta*) abbracciò l’islam grazie alla provocazione che sua sorella gli aveva lanciato. Dopo aver saputo che sua sorella Fatima era diventata musulmana, ‛Umar si recò da lei furibondo (prima di diventare lui stesso musulmano ‛Omar era uno dei più acerrimi nemici dei musulmani), la trovò che stava recitando il Corano insieme al marito, e la colpì così violentemente da farla sanguinare, lei allora esclamò: “Recitiamo il Sacro Corano e lo facciamo che ti piaccia o no!”. Colpito dal coraggio e dalla decisione della risposta di lei, ‛Omar le chiede di mostrargli i versetti che stava leggendo. E così anche ‛Umar divenne musulmano grazie al coraggio e alla determinazione di Fatima bint Al-Khattab.

 

All’inizio della rivelazione i musulmani furono duramente perseguitati. Uomini e donne venivano barbaramente torturati perché rinnegassero la loro religione, l’islam. Durante queste persecuzioni moltissime donne hanno dimostrato un coraggio e una determinazione enormi.

Il primo martire nell’islam fu una donna, Sumaya, che aveva preferito morire dopo essere stata barbaramente torturata, piuttosto che rinnegare il proprio credo. I musulmani ricordano con orgoglio il fatto che fu una donna la prima persona che sacrificò la propria vita in nome del diritto dell’uomo e della donna di scegliere il proprio credo.

In generale possiamo dire che l’Islam ha dato a donne e uomini, non solo gli stessi doveri, ma anche gli stessi diritti.

In un hadith il Profeta* promette la salvezza dall’inferno ai genitori che avranno educato allo stesso modo i figli maschi e le figlie femmine, per quanto riguarda il diritto all’istruzione i genitori musulmani hanno l’obbligo di educare allo stesso modo i figli maschi e le figlie femmine e di dare loro le stesse opportunità. Infatti fin dagli albori dell’islam le donne frequentavano insieme agli uomini tutte le riunioni nelle quali il Profeta* insegnava. Una delle conseguenze di ciò è che moltissimi hadith (= detti del Profeta) ci sono stati trasmessi da donne.

‛Aicha ad esempio è famosa, tra l’altro, per aver trasmesso 2.210 tra detti, precetti ed insegnamenti del Profeta*, che sono dopo il Corano, la seconda fonte della giurisprudenza islamica. E come ‛Aicha numerose altre donne hanno contribuito alla raccolta e alla trasmissione dei detti del Profeta*. Dopo la morte di Muhammad* ‛Aicha divenne il principale punto di riferimento per i musulmani in materia religiosa, uomini e donne quando avevano un dubbio su una determinata questione che riguardava il credo o la pratica religiosa si rivolgevano a ‛Aicha. Quando il Profeta* morì, ‛Aicha era ancora molto giovane ed istruì più di una generazione di uomini e donne.

Fin dagli albori dell’islam, le donne, oltre che assistere alle assemblee, discutevano i loro punti di vista alla presenza del Profeta* e dei califfi, e non esitavano a consigliarli o a correggerli. Famoso è l’episodio in cui il Profeta fu consigliato dalla moglie Umm Salamah e non esitò a mettere in pratica con successo il suo consiglio 

Un altro episodio molto famoso è quello della donna che all’interno della moschea di Medina, apostrofò ‛Umar ibn Al-Khattab, diventato califfo dei musulmani, per segnalargli un errore di giudizio che lui riconobbe seduta stante. ‛Umar aveva pensato di porre un limite alle doti che i mariti devono offrire alle loro spose in occasione del matrimonio. Quando il Califfo dichiarò dal pulpito che la dote non deve essere superiore a quaranta Dirham, la donna esclamò: “non ne hai il diritto!”. ‛Umar le chiese perché non avrebbe dovuto avere il diritto di porre un limite alla dote, e la donna rispose: “perche Iddio ha detto nel Corano: “…Anche se avessi dato ad una donna un intero tesoro in dote, non riprendertene la minima parte, lo riprendereste per ingiustizia e peccato manifesto.” (Q. 4:20   ). Appena udito ciò ‛Umar disse: “qesta donna ha ragione e  ‛Umar ha torto” e proclamò: “o gente avevo vietato di dare una dote di una somma più alta di quaranta dirham, chiunque voglia dare in dote quanto gli pare lo faccia pure!”

Al-Shifà’ bint ‛Abdullah bin ‛Abdi Shams, era un’altra donna conosciuta per la sua intelligenza e per la sua saggezza, veniva spesso consultata dal Califfo ‛Umar che la stimava molto, le pagava le sue consulenze e le aveva affidato il controllo amministrativo sul mercato. Ricopriva in pratica il ruolo di ministro del commercio.

Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale ed insostituibile non solo al tempo del Profeta ma anche durante i secoli successivi. Numerose erano le donne scienziate nei campi più svariati: dalla medicina all’astronomia, dalla letteratura alla teologia, dalla ginecologia all’oftalmologia, dalla pediatria alla dermatologia. Esse erano attive in tutti i campi della vita pubblica ed avevano dato il loro contributo non solo nell’ambito della ricerca scientifica e della diffusione della scienza e della conoscenza, ma anche in ambito economico, politico e sociale. Impossibile citarle tutte, perché esistono intere enciclopedie storiche in lingua araba in cui sono elencati i nomi di moltissime di donne e le loro biografie, una di queste è: “A‛làm al-nisà’” di Omar Rida Kahhala, pubblicata nel 1977 dalle edizioni Mu’assasat Al-Risàla.

D’altronde sono, oltre agli insegnamenti del Profeta, gli stessi versetti del Corano che invitano uomini e donne a collaborare, ad impegnarsi gli uni a fianco delle altre e a dare ciascuno il proprio contributo per il benessere in questa vita e nell’aldilà. Dice l’Altissimo nel Santo Corano: “I credenti e le credenti sono alleati gli uni degli altri, ordinano il bene e proibiscono ciò che è riprovevole…”(9:71,72)

“In verità non farò andare perduto nulla di quello che fate, uomini o donne che siate, perché gli uni venite dagli altri…”(3:195)

“In verità per i musulmani e le musulmane, per i credenti e le credenti,… per i leali e le leali, per i benefattori e le benefattrici, per quelli che spesso ricordano Dio e per quelle che spesso ricordano Dio, Dio ha disposto perdono ed enorme ricompensa.” (33:35)

“Daremo in terra una vita eccellente a chi, credente, maschio o femmina che sia, si comporti bene e nela vita futura adeguata ricompensa.” (16:97)

 

Un’altra donna molto conosciuta è Zubayda bint Ja’far, vissuta tra il 145 h.  e il 216 h. (fine dell’VIII secolo d.C.) moglie di Harun Al-Rashid, capo dello Stato islamico in uno dei periodi più fiorenti della storia del mondo islamico. Era una grande poetessa e amava adornare le sue stanze con tende decorate con le sue poesie più belle. Aveva insegnato a leggere e a scrivere a ben 100 delle dame di corte che vivevano nel suo palazzo. Si occupava anche di moda e aveva introdotto numerose novità per quanto riguarda l’abbigliamento femminile. Era conosciuta per la sua saggezza e la sua intelligenza e per questo era una delle principali consigliere del califfo, suo marito. Aveva contribuito con il proprio patrimonio personale alla costruzione di scuole, ospedali, moschee e acquedotti. L’opera che l’ha resa famosa è la costruzione di un importantissimo acquedotto costruito interamente a sue spese alle porte della Mecca, acquedotto che ha preso il suo nome: ‘Ain Zubayda, l’acquedotto di Zubayda. Nell’anno 186 h. Zubayda si era recata in pellegrinaggio alla Mecca e aveva notato che uno dei principali problemi dei pellegrini era la scarsità d’acqua, aveva quindi ordinato la costruzione di un’imponente acquedotto che rendeva l’acqua disponibile non solo alla Mecca ma anche per diversi chilometri attorno alla Mecca, visto che i pellegrini venivano da ogni parte del mondo.

Sakina bint Al-Hussain ibn ‛Ali era una grande poetessa, la sua casa era diventata una scuola di poesia e un luogo d’incontro per poeti e letterati che venivano a confrontarsi con lei, a imparare da lei e a recitare le loro poesie, e lei giudicava quali fossero le migliori

‛Aicha bint Talha era praticamente cresciuta in casa del Profeta*, era stata allieva di Aicha la moglie del Profeta*. Sua madre era Umm Kulthum bint Abi Bakr Al-Siddiq. divenne una scienziata nel campo dell’astronomia, oltre alla sua profonda conoscenza delle scienze del Hadith, della poesia araba e della storia degli Arabi.

Era conosciuta anche per la bellezza del suo viso e per la sua eleganza, riceveva a casa sua scienziati, poeti e letterati per confrontarsi con loro e per istruirli.

 

‛Amra bint ‛Abdirrahman era stata anche lei un’allieva di ‘Aicha ed era una scienziata nel campo della giurisprudenza islamica. Grandi scienziati come Al-Zohri e Yahya ibn Ma‛in ed altri furono suoi allievi. Quando il califfo Omar ibn ‛Abdel‛aziz ordinò che i Hadith venissero raccolti per iscritto, raccomandò che venissero trascritti tutti i Hadith riportati da ‛Amra.

Nafisa bint Hasan ibn Zayd ibn Hassan ibn ‛Ali, era nata alla Mecca nel 145 h. (762 d.C.). Scienziata nel campo del tafsìr, l’esegesi del Corano. Uno dei suoi più celebri allievi è stato Al-Shafi‛i, nel periodo in cui visse in Egitto.

Ukht al-Hafid ibn Zohr: era una scienziata nel campo della medicina, vissuta in Andalusia ai tempi del califfo Al-Mansùr Abu Yusef. Erano scienziate in medicina anche le due figlie di Al-Hafid ibn Zohr e Bint Dahn Al-luz Al-Dimashqiya, specializzate nella pediatria e nella ginecologia.

Numerose donne musulmane conoscevano e praticavano la medicina già agli albori dell’islam, tra queste: Rufaida, Um Salim, Um Sinan, Amina bint Qays Al-Ghifariya, Ku‛ayba bint Sa‛d Al-Aslamiya, e Al-Shifà’ bint ‛Abdullah.

Um ‛Atiya Al-Ansariya era specializzata nella pediatria e nella chirurgia e praticava la circoncisione.

Rufayda Al-‘Aslamia era un’esperta infermiera e aveva creato il primo ospedale da campo, al tempo del Profeta Muhammad, durante la battaglia di Al-Khandaq, una delle battaglie più impegnative. Era costituito da una tenda in cui Rufaida curava i feriti.

Al tempo degli Omayyadi: Zaynab, Tabibat Bani Aud, era specializzata nell’oftalmologia.

 

Dice Gustave Lebon nel suo libro La civiltà araba:  ”Il fatto che moltissime donne fossero celebri per l’alto livello delle loro conoscenze sia nel campo della letteratura che delle scienze dimostra l’importanza del ruolo delle donne per il fiorire della civiltà islamica. Troviamo nel periodo in cui governavano gli Abbasidi un numero non indifferente di scienziate in Oriente, e nel periodo in cui governava la dinastia degli Omayyadi le scienziate erano altrettanto numerose in Spagna.”

 

I secoli che seguirono furono nel mondo islamico secoli di stagnazione e di decadenza. dal punto di vista scientifico ci fu quasi un arresto della ricerca e una notevole diminuzione della produzione di testi che trattavano di argomenti scientifici e religiosi. Diminuì così anche il numero delle donne impegnate in questo campo. Con l’estendersi del mondo islamico inoltre si diffusero pratiche, credenze e consuetudini pre-islamiche che per ignoranza venivano attribuite all’islam stesso. Molte di queste credenze riguardavano il ruolo della donna, che venne in molti casi messo in secondo piano

 

Nonostante il diffondersi di queste credenze e le conseguenti difficoltà, numerose furono le donne che ebbero la possibilità di istruirsi e di istruire, con la differenza rispetto ai secoli precedenti, che la maggior parte di loro appartenevano alle classi più alte della società. Alcune di loro oltre ad aver istruito numerose donne, istruirono anche numerosi uomini, come ad es:

Shahda Al-Daynuryya,. Era una delle più grandi scienziate e scrittrici del suo tempo. Nacque a Baghdad e morì nel 574 h., dava lezioni di storia e di poesia, tra i suoi allievi c’era anche il celebre scrittore e filosofo Ibn Al-Jawzi e Al-Shafi‛i

Asmà’ bint Ibrahim, morta nel 1308 d.C., insegnava Corano e le scienze legate al Corano. 

Alif bint ‛Abdallah ibn ‛Ali Al-Kattani, morta nel 1474 d.C., che aveva insegnato tra gli altri anche al Sakhawi.

E molte altre scienziate che popolavano le fastose corti di quel tempo, venivano invitate dai califfi e dai principi ad istruirli e ad istruire i loro figli.

Dal 1200 in poi molte delle scuole più famose del mondo arabo erano state aperte grazie a donne che avevano investito parte del proprio patrimonio per la costruzione di scuole.

Ad es. le due più famose scuole di Damasco erano state costruite a spese di Sitt Al-Sham bint Ayyub ben Shadi, la sorella di Salah Al-Din Al-Ayyubi, morta nel 1219 d.C..

Altre due importanti scuole di Damasco sono state istituite rispettivamente da Khadija bint Al-Malek Sharafeddin (1261) e ‛Aicha la moglie di Shuja‛eddin Al-Dammagh.

Anche quando il mondo arabo islamico è stato colonizzato, le donne hanno avuto un ruolo importante, basti ricordare a questo proposito i nomi di quattro donne: Aicha Taimur, Zaynab Fuaz, Anisa Shartuni (nata a Beirut nel 1883) e Malak Hafni Nasef. Queste 4 donne si sono preoccupate in particolare di migliorare la situazione della donna durante il colonialismo e dell’importanza della sua istruzione.

Aicha Taimur ad es. era egiziana, nata al Cairo nel 1840, profonda conoscitrice della grammatica e della letteratura araba e della giurisprudenza islamica. È autrice di tre raccolte di poesie: in arabo, in turco e in persiano, e di un poema. Autrice anche di numerosi articoli in cui parla dell’importanza dell’istruzione della donna e della sua partecipazione attiva in tutti i campi della vita sociale.

Non posso non ricordare a questo punto una donna molto conosciuta nel mondo arabo per il suo impegno e per la sua determinazione: Zainab Al-Ghazali. Durante gli anni ’50 e ’60, durante il sanguinario governo di Nasser (Egitto), furono imprigionati migliaia di oppositori politici, molti dei quali hanno subito la pena capitale. di conseguenza molte famiglie si sono trovate in difficoltà tra l’altro anche economica. Zaynab Al-Ghazali ha costituito un’associazione per sostenere le famiglie dei prigionieri politici ed era molto impegnata per aiutare le persone socialmente in difficoltà. Per questo motivo è stata lei stessa imprigionata per più di vent’anni ed è stata sottoposta a torture indescrivibili. È sopravvissuta a tutto questo e una volta uscita di prigione nonostante il suo fisico fosse ormai debilitato da tutto ciò che aveva subito, ha continuato la sua attività al servizio dei più deboli.

È autrice di un libro, un’autobiografia intitolata Ayyam min hayati, un libro molto toccante che spero venga tradotto in italiano.

Concludo citando Tawakkul Karman, una donna musulmana praticante che porta il velo che ha ricevuto nel 2011, insieme ad altre due donne, il Premio Nobel per la Pace, “per la loro battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione nell'opera di costruzione della pace", un riconoscimento internazionale per il suo impegno per la libertà, la democrazia e il rispetto dei diritti umani di tutti i popoli che chiedono libertà e dignità. La Karman, più volte arrestata durante le manifestazioni pacifiche, è una giornalista yemenita, madre di tre figli, avvocato, fondatrice e  presidente dell'associazione 'Giornaliste senza catene', membro del partito politico “Raggruppamento yemenita per la riforma”, branca yemenita dei Fratelli Musulmani.

Come donna considero questo premio un riconoscimento all'impegno di tutte le donne musulmane che si sono battute e che si stanno battendo pacificamente, a fianco degli uomini, in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, in Siria o in qualsiasi altra parte del mondo. Durante la “Primavera Araba” le donne sono sempre state in prima fila insieme agli uomini per chiedere pacificamente libertà, dignità e democrazia, pagando molto spesso con la loro stessa vita, o con quella dei loro cari. La storia è e sarà testimone anche di questo loro grande contributo per il progresso dell’umanità verso il dialogo e la convivenza pacifica.

Testo preparato dalla dottoressa:Nibras Breigheche

Membro del direttivo nazionale delle Associazione Donne Musulmane d’Italia (ADMI)

Membro del direttivo dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose

Addetta al dialogo interculturale e interreligioso

 

Bibliografia:

مة المعاصرة, مؤسسة الرسالةفصة احمد حسن, أصول تربية المرأة المسلح

Hafsa Ahmad Hasan, La donna musulmana di oggi, Resalah Publishers, Beirut (Libano) 2001

www.resalah.co

 

Souheir Katkhouda

Il ruolo della donna nei diversi contesti politici del mondo arabo e nelle odierne rivoluzioni . La primavera araba le sue ricadute sulle donne immigrate

Vi saluto con il saluto dell’islam, pace su di voi, e vi ringrazio per questo seminario ben studiato che ha voluto evidenziare il ruolo delle donne arabe e musulmane nel cambiamento che sta avvenendo dall’altra parte della sponda del Mediterraneo, stiamo vivendo un periodo storico,  gli anni 2011 e 2012,  passeranno alla storia umana come anni del cambiamento radicale per i popoli arabi e islamici, che sono scesi nelle piazze per chiedere libertà , dignità, diritti umani e giustizia sociale.

Quello che sta succedendo nel mondo arabo, sta a dimostrare che è terminato un periodo nel quale quasi tutti i paesi arabi hanno convissuto con la paura.

Hanno convissuto con la repressione, spesso feroce, con sistemi assolutamente autoritari, dittatoriali, dispotici, con una componente di corruzione molto evidente, con dei regimi che hanno escluso per anni buona parte della popolazione dalla partecipazione alla vita pubblica e politica, non solo impaurendo ma anche rimproverando.

Le manifestazioni popolari hanno dimostrato che il clima di paura e di terrore è terminato e siamo di fronte all’avvio di un nuovo processo politico e sociale, le popolazioni dei paesi arabi non sono più disposte a sopportare né le condizioni economiche né le condizioni politiche in qui vivevano da anni.

C’è da dire che questi movimenti non nascono dal nulla, non nascono come mera sollevazione spontanea per rivendicare il pane; stiamo parlando di popoli che hanno una storia millenaria, hanno una coscienza e un senso di sé come tanti altri popoli nel mondo, soprattutto hanno una storia di lotta di liberazione dal giogo del potere colonialista.

In alcuni periodi le popolazioni si sono mosse in termini di rivolta, di ribellioni, anche se essendo popolazioni disarmate senza aiuti esterni, spesso sono state represse nel sangue.

Molti degli attivisti sono stati torturati, incarcerati, esiliati, spesso con il silenzio e il sostegno delle grande potenze che sono rimasti in silenzio rispetto alle violazioni di diritti elementari delle popolazioni.

Abbiamo assistito All'ondate di rivolte che ha coinvolto la Tunisia, l'Egitto, la Libia e lo Yemen e siamo di fronte alla rivoluzione siriana che dura da 14 mesi, tutti questi popoli hanno avuto un unico obiettivo quello di abbattere i regimi dittatoriali al potere da decenni di anni e riconquistare libertà, democrazia, diritti umani e giustizia sociale.

qui eventi hanno smentito le teorie di coloro che sostengono che il mondo arabo non abbia altre possibilità se non quella di vivere sotto il giogo assassino della dittatura o sotto quello del totalitarismo islamico.

il mondo intero è testimone che i popoli arabi hanno manifestato in modo popolare pacifico e civile per la loro libertà e dignità che è stata negata per troppo tempo.

sotto lo sguardo attonito del mondo intero, giovani donne e giovani uomini si sono ritrovati in prima fila in quelle manifestazioni che hanno restituito ai popoli arabi la speranza nel cambiamento nel quale non credevano praticamente più.

il mondo intero ha potuto notare la presenza, la partecipazione e l'impegno delle donne in questi eventi epocali, donne che si sono mobilitate nella rete oltre che nelle piazze, per protestare, condannare la repressione, organizzando manifestazioni, esprimersi pubblicamente anche tramite articoli e reportage e resistere a fianco degli uomini, al fine di far cadere la dittatura ed esigere la volontà del popolo sia rispettata.

quelle rivolte hanno smontato gli stereotipi ed i pregiudizi diffusi in Europa sulle donne arabe musulmane, secondo i quali esse sarebbero sottomesse, relegate solo a determinati ruoli private della loro libertà.

 Analizzando lo scenario sociale e umano che si presenta di fronte agli occhi di chi volge lo sguardo verso il mondo arabo, a partire dal celebre episodio di Buazizi, ci rendiamo conto che ci troviamo di fronte ad una rivoluzione umana che non presenta le caratteristiche che  di solito si intendono quando si usa il termine rivoluzione.

Si tratta infatti di rivolte che non sottostanno ai parametri della politica e della sociologia, e che non mirano solo a far cadere dei sistemi politici dittatoriali, ma a provocare dei cambiamenti radicali nella vita politica, sociale e umana in un’area che subisce ancora un “colonialismo” indiretto.

Non c’è da stupirsi se il popolo tunisino ha chiamato questi regimi con l’eloquente nome di “bande di ladri”, perché hanno privato i popoli del Nord Africa e del Medioriente della loro reale indipendenza prendendo il posto dei colonizzatori e facendo le loro veci. I paesi che prima erano colonizzatori sono stati successivamente i migliori alleati dei regimi dittatoriali che sono subentrati dopo la fine del colonialismo, prendendosi gioco di intere popolazioni che pensavano di aver raggiunto l’indipendenza.

Siamo di fronte a una seconda lotta per l’indipendenza, per liberarsi dai luogotenenti dei colonizzatori di qualche decennio fa.

centinaia di migliaia di fotografie, video, reportage, dirette televisive dalla Tunisia, dall’Egitto, dallo Yemen, dalla Siria, dalla Libia mostravano milioni di donne non solo a fianco degli uomini, ma in testa ai cortei, ricoprendo ruoli direzionali e ai vertici dell’organizzazione, ponendo fin dall’inizio le basi degli ideali della rivolta ed essendo tra le prime ad aver invitato alla rivolta.

In Tunisia la coraggiosa Lina Ben Almahni ha organizzato tre delle grandi manifestazioni che hanno fatto cadere il regime di Ben Ali.

In Egitto milioni di donne, con il velo, senza velo, con il volto coperto e con le forme più varie di abbigliamento manifestavano, contribuivano a curare i feriti, a organizzare la viabilità e la sicurezza, a ripulire le strade, a preparare i pasti, venendo loro stesse ferite o uccise, come Saly Zahran e tante altre, o imprigionate come la 22enne Asma Mahfuzh, la principale organizzatrice delle manifestazioni per la caduta di Mubarak ripresa in un video celebre che ha fatto il giro del mondo; dopo 8 mesi non è stata ancora rilasciata dopo essere stata imprigionata con l’accusa di aver offeso gli uomini della sicurezza e i rappresentanti del regime.

Donne di ogni astrazione sociale e di religioni diverse in Yemen e in Egitto hanno riempito le piazze e le strade, in Yemen, con il loro vestito tradizionale di colore nero, hanno formato vere e proprie cascate di “oro nero”, la cui vitalità e la cui energia esplosiva non ha meno potere nel provocare cambiamenti nell’attuale ordine mondiale dello stesso petrolio.

3. Tawakkul Karman, riguardo alla quale ha scritto il nobel Paolo Coehlo, passerà alla storia per il fatto di essere la prima donna araba, la prima donna che porta il hijab islamico, oltre ad essere la più giovane ad aver ricevuto un Premio Nobel per aver avuto un ruolo importantissimo ai vertici dell’organizzazione delle rivolte in Yemen che hanno fatto cadere un regime dittatoriale che durava da 33 anni.

L’assegnazione di questo Premio Nobel alla Karman è il riconoscimento mondiale che non c’è contraddizione tra l’essere musulmana praticante e l’essere allo stesso tempo militante attiva per i diritti delle donne, e questo mette a tacere definitivamente tutti gli intenti “civilizzatori” nei confronti della donna musulmana.

In Libia Iman Al 3Abidi, giornalista libica, è entrata con la forza nella sede della stampa internazionale, per denunciare con coraggio davanti a tutte le telecamere del mondo, gli stupri subiti da numerosissime donne da parte dei mercenari di Gheddafi.

Stessa sorte subita da altrettante donne in Siria per mano delle bande di criminali assassini fedeli ad Assad che usano la vile arma dello stupro nei confronti di donne, uomini e perfino bambini, con l’obiettivo di piegare la volontà di un popolo che vuole liberarsi dalla completa sottomissione al regime che lo opprime da 40 anni.

In Siria Tall Al Maluhi, ragazza diciassettenne, è stata la prima della primavera Siriana ad essere imprigionata e torturata e trattata esattamente come sono stati trattati i prigionieri di Guantanamo.

Dopo di lei Suher Al Atassi è stata la prima a trovare il coraggio di accendere una candela in sostegno alle rivolte di Tunisia ed Egitto, ed è stata per questo schiaffeggiata, quello schiaffo sul volto passerà alla storia per essere lo schiaffo che ha spinto il popolo siriano a scendere in piazza a gridare “il popolo siriano non vuole sottomettersi!”

È uno dei peggiori modelli di colonialismo quello che è stato per 50 anni alleato dei regimi oppressivi del mondo arabo e di altre parti del mondo.

E che è rimasto loro alleato fino all’ultimo momento che ha preceduto la loro caduta. 

Un colonialismo culturale che fomenta il razzismo, l’odio, e un certo femminismo che soffre di complessi di superiorità nei confronti delle donne e degli uomini di altre culture, al punto da far scomparire l’altro dalla sua letteratura e da elevare muri nei suoi confronti.

Facendo finta che di fatto non esista questo “altro”.

Migliaia di donne arabe e musulmane che sono scrittrici, giornaliste, intellettuali, ricercatrici, non trovano spazio nei mezzi di informazione occidentali e nell’opinione pubblica. Come se di fatto fossero fantasmi.

Queste rivolte hanno permesso che l’immaginario e la concezione della donna musulmana inizi a cambiare, non solo nel mondo arabo, ma nel mondo intero.

Una rivoluzione che è uno tsunami che sta sradicando completamene ciò che di marcio c’era nelle società arabe, come certe abitudini e certe tradizioni che non hanno nulla a che fare con la civiltà che l’islam ha eretto.

Possiamo notare anche  che l’occidente non vede più nel hijab delle donne musulmane una forma di sottomissione visto che la sorella Karman è stata ricevuta dal ex presidente della Francia  Sarkozy al palazzo dell’Eliseo, lui autore della legge contro il velo islamico nelle scuole francesi in nome della laicità,  ha ormai compreso dopo questa rivoluzione delle donne che il velo islamico  non impedisce alle donne di conquistare la libertà ed essere protagoniste.

Si tratta di una rivoluzione che ridisegna i tratti dell’essere umano (donna o uomo che sia) restituendogli la sua dignità e la sua libertà.

la libertà della donna deve rispettare i parametri scelti dalla donna stessa, nel rispetto dei suoi valori morali e del suo orientamento politico e religioso , non secondo i modelli imposti da culture “civilizzatrici” e colonizzatrici o secondo i modelli dei regimi oppressivi che vanno contro lo spirito dell’islam, la sua cultura e la sua morale.

Le donne arabe e musulmane insieme agli uomini, stanno chiedendo libertà, dignità, pace e sicurezza per le loro società e per il mondo intero.

Possiamo dire che la primavera araba è donna e il ruolo delle donne è stato fondamentale per la primavera araba, protagoniste delle rivolte che hanno fatto crollare i regimi al potere in Tunisia ,Egitto, Libia, e lo Yemen, attivamente impegnate anche nelle proteste siriane per far cadere uno dei regimi più sanguinari del mondo..

le donne stanno continuando il loro impegno politico per affermare i loro diritti, specialmente in questi momenti cruciali di fase elettorale e stesura delle nuove costituzioni, chiedono che i loro diritti siano formalmente riconosciuti e che il loro impegno politico porti a delle riforme in grado di cambiare veramente la vita delle donne nel mondo arabo.

 l'attivista libica Huda el abdelaziz Mohammad afferma che nelle riforme “deve essere imposta la presenza delle donne nel processo decisionale, inoltre la parità di genere deve diventare un elemento chiave nel programma di transizione verso la democrazia, di cui tener conto nelle riforme costituzionali e nelle realizzazione della futura costituzione libica".

Riporto anche  le parole del ministro per la cooperazione internazionale" Andrea Riccardi " al margine del convegno organizzato dalla comunità di S. Egidio sulla primavera araba : " il Nord e il Sud del mediterraneo devono costruire un nuovo quadro democratico facendo cadere diffidenze per fare posto alla cultura della simpatia tipica della nostra area.

 Grazie anche alla Primavera araba oggi abbiamo la possibilità di costruire un nuovo rapporto, in cui cristiani e musulmani, Occidente e mondo Musulmano, riscoprono valori di libertà e di democrazia".

Noi crediamo che tutti i popoli e tutti coloro i quali sostengono la libertà hanno il dovere di proteggere questi principi e di sostenere le nuove democrazie che stanno nascendo nel mondo arabo.

Noi come  donne musulmane che vivono in Italia abbiamo partecipato a questo cambiamento con numerose iniziative culturali, come il convegno annuale  che era svolto a Milano e Verona sottotitolo(la donna musulmana e la costruzione del cambiamento) il 7e8 maggio 2011, abbiamo organizzato manifestazioni in difesa dei diritti umani e delle donne nel mondo arabo, ci siamo impegnate con le organizzazioni umanitarie a fianco dei rifugiati e profughi, noi siamo con tutte le donne e i uomini di buona volontà che sostengono i popoli per ottenere la libertà, siamo fiere

contributo e del ruolo importantissimo che hanno avuto le donne arabe  per il successo ottenuto dalla primavera araba auspicando che la loro partecipazione sia effettiva anche nelle decisioni che porteranno alla creazione di nuovi sistemi politici rispettosi della democrazia e del pluralismo politico.

la partecipazione delle donne musulmane in tutti gli ambiti della vita pubblica e sociale è uno dei presupposti del loro essere cittadine e deve essere una delle loro principali preoccupazioni.

anche dal punto di vista islamico essa ha le stesse responsabilità dell'uomo per quanto riguarda la promozione dei principi di giustizia e di solidarietà, tutta la nostra riconoscenza va alle giovani e ai giovani protagonisti del cambiamento nel mondo arabo, nella speranza di avere, insieme al mondo intero, un futuro migliore.  

 

[1] Presidente e co-fondatrice del GIERFI -Group international d’études et de réflexion sur femmes et Islam- coordinatrice del gruppo internazionale di ricerca sulla donna musulmana e il dialogo interculturale.

http://www.asma-lamrabet.com/html/articles.htmhttp://www.gierfi.org/

 

[2] Traduzione del testo francese della relazione orale

[3] Le statistiche sulle donne nel mondo sono allarmanti: 100 milioni di donne scomparse in Asia, la tratta delle bianche nel cuore dell’Europa, il fenomeno della violenza contro le donne (vedi il rapporto di Amnesty International),  sul nostro pianeta almeno il 20% delle donne sono vittime di stupri o di maltrattamenti: in www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm

[4] Testo originale della relazione orale

[5] Les statistiques  sur les femmes dans le monde sont alarmantes : 100 millions de femmes manquantes en Asie, la traite des blanches au cœur de l’Europe, le phénomène de la violence contre les femmes : voir le rapport d’Amnesty International ; sur notre planète  au moins 20% des femmes sont victimes de viols ou de mauvais traitements ; in www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm.

[6] Traduzione del testo francese della relazione orale

 

[7] Vedi per maggiori dettagli l’articolo di  Laetitia Dechaufour, « Introduction au féminisme postcolonial et genèse de ce courant » : www.resistingwomen.net.

[8] Third world différence ; vedi l’articolo supra 

[9] Testo originale della relazione orale

[10] Voir pour plus de détails l’article de Laetitia Dechaufour, « Introduction au féminisme postcolonial et genèse de ce courant » : www.resistingwomen.net.

[11] Third world différence ; voir article supra .

[12] Presidente ADMI, Associazione Donne Musulmane in Italia, membro dell’European Forum of Muslim Women (EFOMW) http://www.admitalia.org/http://www.efomw.eu/

 

 

30 juin 2012

Interventi

 Interventi

Lara  Aisha Bisconzo [1]

a pace sia su tutti voi.

Buongiorno a tutti, innanzitutto mi preme ringraziare Casa Africa nelle persone di Fatima, la presidente e di Marina, nonché Costanza e tutte le altre ragazze che ci hanno invitato a partecipare a questo importante seminario su un tema delicato e quanto mai attuale.

Dopo di ciò, ci tengo a sottolineare che sia come persona che come portavoce della mia associazione, Donne e Mamme Musulmane, non credo nel termine “femminismo” così come in quello “maschilismo”. A me piace pensare ad un diverso tipo di movimento, che forzatamente potrei provare a chiamare “umanitarismo”, nel quale, donne e uomini indipendentemente dal loro genere, hanno entrambi il loro giusto spazio per poter contribuire al meglio e rendere attraverso il loro sforzi questo mondo più vivibile.

Sono profondamente certa che ci sia spazio per tutti, nel giusto modo senza però necessariamente rinchiudersi dentro ad un titolo, nemmeno se lo si fa per mera provocazione allo scopo di avere possibilità in più.

Perché credo fermamente che uomo e donna non sono e non debbono essere rivali, ma anzi: esseri complementari che camminano, secondo il loro modo e le loro capacità soggettive, fianco a fianco verso un obiettivo comune.

E credo anche che siano diversi, l’uomo e la donna. Ma diversi non significa che il primo sia migliore o la seconda inferiore. Hanno diverse peculiarità, talenti, caratteristiche, e possono appunto compensare ciò che manca all’altro.

Fatta questa per me doverosa premessa, vorrei parlare quest’oggi di un tema che come donne, nel mio caso italiane e musulmane ci tocca particolarmente ma che secondo noi non viene sufficientemente conosciuto e approfondito: la condizione della donna musulmana oggi in Italia.

Il Bel Paese senza dubbio è un posto ricco di opportunità, che permette di vivere serenamente e di avere in linea di massima i propri diritti rispettati (crisi permettendo…), di grandi bellezze storiche e naturalistiche e, ogni giorno sempre più, multietnico e colorato. In mezzo a questa ricchezza ha ormai da qualche anno fatto capolino in maniera sempre più evidente la condizione della donna musulmana. E, ogni giorno di più, quella della donna musulmana italiana, divenuta tale per amore di Dio dopo un percorso spirituale e consapevole di conoscenza, studio e fede.

Differentemente dalla donna musulmana immigrata, la musulmana italiana spesso e volentieri si trova in una situazione come di “limbo”: viene considerata né carne e né pesce. Ma non perché si senta inadeguata, anzi. E’ perfettamente inserita nel tessuto sociale in cui vive proprio perché autoctona, allo stesso tempo però si vede costretta a galleggiare in una costante situazione di insicurezza per vari motivi che brevemente andrò ad elencare.

Il primo fra tutti – il più evidente – è la scelta di fede di indossare il hijab, parola araba che indica l’uso del velo e dell’abbigliamento islamico.

Il Corano indica chiaramente il precetto di indossarlo, infatti in almeno due versetti esso è nominato, uno dei quali, esplicito come non mai, dice: “O Profeta, di’ alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore, misericordioso.” (Sura Al Ahzab, i coalizzati, v.59). La musulmana praticante che quindi sceglie con tutto il suo cuore, la sua ragione, la sua fede di indossarlo per amore di Dio si trova in questo paese davanti a varie difficoltà. Sul lavoro, per esempio. Perfino quando è alla ricerca di mansioni semplici e umili come possono essere quelle delle operaie delle imprese di pulizie, alla musulmana viene chiesto di togliere il hijab. Pena la non assunzione, nonostante le referenze. E attenzione, parliamo del classico hijab che lascia scoperte mani e viso, non di burka o niqab che impedirebbero l’identificazione della persona. Insomma, di una copertura che talvolta viene tutt’ora indossata dalle donne più anziane del sud Italia. Più di una volta ho sentito storie di sorelle musulmane (italiane e non) letteralmente costrette ad umiliare la propria fede e la propria persona (per una musulmana è atroce togliere il velo dal capo, perché si sente in colpa verso Dio) perché fortemente disagiate e con seri bisogni economici. E mi sono sempre posta la domanda del perchè una donna è costretta ad un’inutile simile umiliazione. Forse che la donna con il velo sul capo lavora meno bene di quella che non ce l’ha? Assurdo, senza ombra di dubbio.

E quando sento parlare di queste storie, mi salta sempre alla mente la serie di foto che grazie al web sono a disposizione dell’intero mondo, nelle quali si vedono donne inglesi che svolgono le più varie mansioni (poliziotte, infermiere, gestori di sale da thè, di negozi, etc.) con il loro bell’hijab o niqab addirittura, che non sono costrette a snaturarsi per avere rispettato il loro sacrosanto diritto al lavoro e a quello della libertà di fede. Così come mi salta alla mente il foulard che l’Ikea, che noi tutti ben conosciamo, ha fatto commissionare su misura con il proprio logo perché facesse parte della divisa delle commesse e lavoratrici musulmane che sono impiegate in Svezia nei loro famosi centri.

Donne che, nonostante il velo sul capo, hanno grazie a Dio mani e cervelli perfettamente funzionanti… Forse che in Italia si creda diversamente?

Lo stesso problema talvolta sono costrette ad affrontarlo le giovani ragazze che decidono per loro scelta di indossarlo fin dalla più tenera età. E’ tristemente comune in fatti ascoltare storie di professori e professoresse che, velatamente o meno (passatemi il termine…), cercano di convincere la studentessa che frequenta i loro istituti a togliere l’hijab, o perlomeno lo criticano spesso e volentieri, perfino in classe davanti agli altri compagni, mettendo in un ingiusto e scorretto imbarazzo la giovane di turno che, una volta tornata a casa, spesso e volentieri piange a causa dell’insensibilità dimostrata da chi invece dovrebbe contribuire alla sua crescita morale e sociale. Cito anche questi esempi per far riflettere, perché non sono purtroppo rari, e mi auguro possa, in maniera anche infinitesimale, servire a qualcosa.

Un altro problema che ci tocca profondamente, è quello dei luoghi di culto. Molte di noi hanno poche occasioni di andare all’estero in paesi arabo-musulmani, sono obbligate quindi ad educare qui i propri figli e ad insegnare loro la propria religione (come ogni genitore è tenuto a fare) senza poter far respirare loro l’atmosfera di una vera moschea. Non so se riesco a farvi capire a parole quanto è triste dover festeggiare la ricorrenza più importante dell’Islam, quella che ricorda il comune sacrificio di Abramo, in una palestra umida e fredda allestita alle bell’e meglio, magari anche sporca e in disordine. Vedere donne con neonati in braccio in posti del genere sapendo che si sta ricordando il giorno più importante dell’anno è davvero triste, sconfortante. Ma è questo che ogni anno succede in molte città d’Italia, la mia, Albenga, per esempio. La comunità islamica è costretta ad affittare una palestra o un altro luogo di fortuna per poter espletare le funzioni religiose più importanti dell’anno. Questo perché quasi ovunque non si riescono ad avere i permessi necessari per aprire non dico una vera e propria moschea con cupola e minareto, ma un più modesto centro islamico con annessa sala di preghiera. Le amministrazioni non lo consentono, gli abitanti delle città non le vogliono. Si fa ancora infatti fatica a trasmettere alle persone il fatto che una moschea, piccola o grande che sia, è una grande ricchezza per tutti, e che non è covo di terrorismo, ma anzi: sarebbe un luogo ove il terrorismo in prima battuta verrebbe stoppato, denunciato, bloccato… E’ già accaduto, nella nostra Italia: un imam (guida religiosa) del Nord ha segnalato alle forze dell’ordine una persona che aveva incontrato nel centro da lui gestito perché aveva forti sospetti che stesse per commettere atti non legali. Ma se un vero centro islamico non c’è perché l’amministrazione di questo o di quel paese non ne permette l’edificazione o l’apertura, chi insegnerà alle persone il vero messaggio di pace e giustizia dell’Islam? I nostri figli dove apprenderanno le basi della loro religione? Che ricordi avranno da adulti dei loro momenti di festa? E soprattutto, quanto ci perde in termini di cultura, ricchezza, dialogo interreligioso e conoscenza reciproca una città che non permette l’apertura di questi centri? Quante occasioni mancate, lasciatemelo dire…

E pensare che nella splendida, italianissima Roma è situata la moschea più grande d’Europa, che ogni anno accoglie migliaia di fedeli ma anche visitatori e turisti tra le loro mura, per non parlare dei convegni e delle tavole rotonde, ultima quella che ha visto partecipe anche Giorgio Napolitano, il capo dello Stato… E che nella nostra ligure Genova non più di 150 anni fa già esisteva una moschea vera, dalla quale si poteva udire addirittura il richiamo della preghiera… Moschea della quale nessuno all’epoca si è mai lamentato…

Un altro problema davvero da noi sentito è quello del cimitero. Come musulmane (e musulmani…) italiane o residenti in Italia, dovesse arrivare per noi il momento fatale che indica la fine della nostra vita sarebbe una doppia tragedia: non sapremmo dove essere seppelliti. Infatti, come nel caso della moschea, anche per il cimitero abbiamo immense difficoltà. Molte amministrazioni comunali non consentono (nonostante, badate bene, la Costituzione italiana ed anche i regolamenti comunali lo prevedano) la realizzazione di spazi cimiteriali ove i musulmani possano essere seppelliti secondo i loro rituali. Che poi, è bene specificarlo, basta poco per avere una struttura adeguata. Ci basterebbe solo un pezzo di terra delimitato da una siepe. Non ci necessitano costruzioni in muratura come loculi o similari, perché la nostra religione prevede l’interramento del corpo del defunto, quindi non si richiederebbe nemmeno uno sforzo in questo senso. Eppure anche in questo caso riusciamo ad ottenere quasi sempre solo dei no. E ve lo assicuro, è una questione che personalmente mi tocca molto da vicino essendo appunto musulmana e profondamente legata alla mia città d’origine. Vorrei essere seppellita secondo il rito che ho abbracciato in essa, ma non saprò fino alla fine della mia vita se questo mai potrà accadere. Forse chissà, come molti fratelli e sorelle di religione stranieri sarò costretta a far trasferire dalla mia famiglia la mia salma in un paese limitrofo, o all’estero, addirittura. Con dispendio di denaro e di fatica. Mi auguro avvenga altro…

In breve, sono questi i punti cardine della nostra vita che come musulmani in Italia ci troviamo quotidianamente ad affrontare. Ho scelto di farne partecipe oggi questa platea proprio perché come associazione femminile che si propone come interlocutore – nel suo piccolo – di fronte a chi vuol conoscere meglio la nostra realtà a nostro modo vogliamo provare a fare una, seppur modesta, differenza. E vogliamo a nostra volta fare del nostro meglio per attivarci e cambiare le cose, iniziando da ciò che secondo noi è il punto d’inizio ideale: la comunicazione e l’informazione.

Quindi sì, a nostra volta siamo donne attive sul territorio che altro non desiderano che rendere migliore la nostra vita. E quando dico nostra, intendo quella di tutti, musulmani e non. Come il Corano insegna a tutti i credenti, maschi e femmine, da 1433 anni a questa parte.

Grazie.

 

 Miriana SEMERIA[2]

 

 

 

Prima di tutto vorrei ringraziare, a nome del Centro Iniziativa Donne di Sanremo, Casa Africa e tutte le organizzatrici di questo convegno per l'invito che ci avete rivolto. Invito particolarmente gradito perchè ci consente di conoscere e approfondire temi di grande rilevanza.

Noi siamo venute qui oggi soprattutto per ascoltare. Vorrei comunque sottolineare alcuni aspetti delle relazioni e del dibattito che ne è seguito.

Innanzi tutto vorrei dire che sono molto d'accordo con Asma Lamrabet, che nell'intervento di questa mattina evidenziava il grossolano errore delle generalizzazioni: l'Occidente non è tutto “uguale” (l'Italia non è la Francia e neppure gli USA) così come nel mondo musulmano vi sono grandi diversità (il Marocco non è l'Arabia Saudita).

Generalizzare ci porta solo ad acuire i pregiudizi.

Sono anche convinta che vi sia stata una sorta di universalità della discriminazione nei confronti delle donne, che si è determinata in momenti storici, in contesti sociali, culturali, politici assai differenti. Non sarà certo l'Occidente a “liberare” le donne islamiche, come non è stato l'Occidente a “liberare” le donne italiane, francesi, ecc. Sono state le donne, nelle diverse realtà, con le loro lotte, con il loro lavoro, con la loro elaborazione culturale e politica a creare movimenti che hanno portato a cambiamenti radicali.

E sono state lotte dure e difficili. In Italia, ad esempio, si è sviluppato prima un forte movimento femminile, con profonde radici nella Resistenza, che rivendicava pari diritti, prima di tutto il diritto al voto, e che lottava per l'emancipazione della donna. Poi, negli anni Settanta, c'è stata l'esplosione del movimento femminista che ha scardinato rapporti, relazioni, modi di essere con una forte carica innovativa e che ha creato anche tante discussioni e dibattiti nell'ambito delle stesse forze progressiste. E' stata una rivolta contro i ruoli così come si erano cristallizzati nella società, contro i dettami della Chiesa vista come uno dei simboli del potere maschile. Le donne non si “accontentavano” più dell'emancipazione, volevano la liberazione, anche dal punto di vista sessuale.

Tutto ciò ha portato a cambiamenti radicali e profondi che hanno costituito il tessuto culturale da cui sono scaturite leggi (Nuovo diritto di famiglia, divorzio) impensabili se non ci fosse stato un cambiamento profondo all'interno della società.

Ognuno deve seguire la propria strada, fare il proprio percorso, ma solo le donne nella loro autonomia di elaborazione e di pensiero possono portare ai cambiamenti necessari.

Da ultimo un'osservazione, che è anche una mia forte preoccupazione. In questo convegno si è molto parlato del Corano e dei testi sacri. Io ho molta paura quando vedo nascere stati confessionali, a qualunque credo facciano riferimento. Penso che un paese che consideri come atto fondativo un testo sacro, per sua natura non modificabile in quanto emanazione diretta di una divinità, possa portare a forti disuguaglianze e intolleranza.

Per concludere, ancora grazie per questo invito. Solo con la discussione ed il confronto delle opinioni possiamo davvero costruire tutte insieme un mondo migliore.

 

Hamza Piccardo[3] 

 

I contributi e l'interventi che ho ascoltato mi hanno suggerito alcune riflessioni che cercherò di esplicitare qui di seguito.

Ogni volta che si affronta la questione femminile in relazione alla dottrina e alla tradizione islamiche abbiamo due atteggiamenti contrapposti e oggettivamente sterili. Da parte musulmana la difesa strenua della giustizia tra i generi insita nella rivelazione coranica e nella tradizione del Profeta Muhammad (pbsl), da parte laica o più generalmente non musulmana, l'insistere su situazioni oggettive di sperequazioni che vengono fatte risalire a quella stessa rivelazione e tradizione.

Se nella prima c'è un'evidente verità dottrinale è tuttavia possibile che la lettura e l'interpretazione delle fonti abbia spesso stravolto quei principi di equità e misericordia tra uomini e donne e tra loro e la società.

La comprensione letteralista infatti, tende a decontestualizzare sempre e comunque l'applicazione delle norme, tradendo di fatto la giustizia e quindi deislamizzando i comportamenti.

Credo che per noi musulmani non sia possibile comprendere una società e le persone che ne fanno parte e applicare le regole che sentiamo tutti come nostre e accettate, se non teniamo conto di una grande verità che Allah nel Corano proclama quando dice: " In verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi della notte e del giorno, ci sono certamente segni per coloro che hanno intelletto" cioè nella natura e nel tempo Iddio altissimo ha posto segni, indicazioni che dobbiamo percepire correttamente per testimoniare i valori sempiterni e assoluti della Rivelazione.

Il primo incidente tra Emigranti e Ausiliari fu provocato dalle donne. Le prime erano meccane, e quindi cittadine, che erano vissute in una società, per quei tempi urbana e certamente commerciale, abitavano nel centro religioso della penisola arabica ed erano quindi abituate al rapporto e al confronto con persone e culture sensibilmente diverse. Spesso erano loro stesse commercianti e imprenditrici come nostra madre Khadija figlia di Khawaylid, la prima amatissima sposa del Profeta*, la prima musulmana. Le Ausiliarie erano vissute in quel complesso di oasi che formava Yatrib e che poi prese il nome di Medina an-Nabi, la città del Profeta*. La loro società era agro-pastorale con tutte le sue caratteristiche peculiari, specie nelle questione di genere. Il potere derivava dal possesso della terra che veniva trasmesso dal padre ai figli maschi. (Il Corano riformò radicalmente quel meccanismo di successione attribuendo alle figlie femmine pienezza giuridica, diritti ereditari ecc.)

 

Le meccane erano molto più libere e forti nel rapporto di genere ed erano confortate da quella Rivelazione che diceva che "uomini e donne hanno parità di doveri e di diritti" e dall'attenzione che il Profeta* gli aveva dedicato portarono un certo scompiglio e il Profeta* dovette intervenire per ristabilire la serenità tra le due comunità che erano destinate a costituire il primo nucleo di quella Ummah che oggi conta un miliardo e mezzo di uomini e donne.

Ho citato questo differente per esemplificare come sia impossibile trascendere dal contesto senza compiere gravi ingiustizie nei confronti delle creature.

Questa contestualizzazione fu prevista dal Profeta stesso* che inviando nello Yemen uno dei suoi compagni, Mu’adh, con la funzione di giudice gli chiese: “Come giudicherai i casi?”; egli rispose: “Giudicherò in accordo con il Libro di Allah”. “Ma se non vi troverai (la risposta) come farai?”. “Mi riferirò alla Sunnah del Messaggero di Allah”. “E se non troverai nulla nemmeno qui, che farai?” chiese ancora il Profeta. “Mi sforzerò e non smetterò di sforzarmi ” rispose Mu’adh. Sentendo ciò, il Profeta gli diede un colpetto sulla spalla e disse: “Sia Lode ad Allah Che ha guidato il messaggero del Suo Messaggero a ciò che voleva il Suo Messaggero”.

Il Profeta*, nella sua immensa saggezza e chiaroveggenza, sapeva che ci potevano essere problemi che non potevano essere risolti solo riferendosi in modo pedissequo al Corano o alla tradizione dell'Inviato, ma proprio in ossequio all'altezza di quelle fonti avrebbero necessitato uno sforzo di comprensione e di giudizio.

Venendo alla nostra situazione attuale, dobbiamo tener conto che le società sono diverse tra loro ed estremamente variegate anche al loro interno. E' certamente vero che, rimanendo in ambito islamico, ci sono grandi differenze tra il Marocco, la Turchia, il Pakistan, ma se disaggreghiamo per ambiti socio-economici, saranno molto più simili i comportamenti di un abitante dell'Atlas marocchino, di uno della Cappadocia o delle risaie del sub continente indiano, di quanto lo siano con quelli di chi vive a Fes, Ankara o Islamabad (a loro volta diversi ma molto più omogenei tra loro).

Per concludere permettetemi una piccola provocazione intellettuale, se il maschilismo è considerato l'aberrazione dei comportamenti maschili, un femminismo reattivo non può che essere viziato dagli stessi difetti che mira a combattere.

Eliminiamo quindi tutti gli ismi e tra musulmani e musulmane, tra uomini e donne, cerchiamo di camminare insieme in un dialogo solidale e fedele, non dice forse il Corano: " Coloro che fanno la carità, uomini o donne, concedono un bel prestito ad Allah; lo riscuoteranno raddoppiato e avranno generoso compenso" e la carità non è altro che l'amore per Dio e per le creature.

 

 

 

 

Filomena LORETO[4]

 

 

Noi donne di P.E.N.E.L.O.P.E siamo consapevoli che le società islamiche sono in continuo movimento. Non ci sono società statiche. La rivoluzione iraniana e la Primavera araba hanno mostrato in concreto l’intervento e la partecipazione attiva e consapevole delle donne musulmane che lottavano per la libertà e la democrazia dei loro paesi e per l’ottenimento della loro emancipazione.

Abbiamo anche visto e saputo di maltrattamenti crudeli sul corpo delle donne: ci rendiamo conto che la storia delle donne viaggia su percorsi paralleli. La nostra storia non è stata e non è poi così diversa dalla vostra. Volendo fare una riflessione sui nostri percorsi, sentiamo che le esperienze delle donne sono comuni in tutte le società.

P.E.N.E.L.O.P.E.  si è occupata di storie di donne che hanno contribuito alla realizzazione (1860) dell’unità d’Italia durante il Risorgimento e della lotta contro il fascismo durante la Resistenza (1943-45), rimanendo quasi del tutto invisibili. Pur avendo dato un grosso contributo, in due momenti fondamentali per la storia italiana, sono state escluse dall’organizzazione politica del Paese.

Per rendere onore a queste donne coraggiose,   P.E.N.E.L.O.P.E.   ha dedicato loro due eventi culturali:

  1. 8 marzo 2011, “Le donne invisibili del Risorgimento”, nell’ambito delle celebrazioni per i 150 dell’unità d’Italia.

…e, credeteci, abbiamo fatto delle scoperte sorprendenti anche per noi.

  1. 19 aprile 2012, “Donne e Resistenza”, nell’ambito delle celebrazioni dell’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani Italiani)

Nell’incontro del 19 aprile abbiamo riservato uno spazio speciale a Tina Anselmi, alla quale è stato dedicato, tra l’altro, il calendario 2012 di P.E.N.E.L.O.P.E.  e a Nilde Jotti. Due figure altamente significative che hanno partecipato alla Resistenza italiana contro il fascismo e hanno contribuito alla costruzione della nostra Repubblica democratica, facendo parte del Parlamento italiano.

In particolare vorremmo parlarvi oggi di Tina Anselmi che fu la prima donna ministro della Repubblica italiana. Durante il suo ministero ha fatto approvare la  legge 903 del 9 dicembre 1977, in cui, finalmente, veniva sancita la “parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”. La legge risale a 35 anni fa, ciò significa che la donna, fino ad allora, era ritenuta inferiore. 

Questa è la prima legge che riconosce la parità di trattamento tra uomini e donne, parità intesa come divieto di ingiustificata e arbitraria discriminazione sulla base del sesso e come imposizione di un trattamento uniforme. Alcune norme della Legge 903 adeguano la disciplina del lavoro femminile al nuovo diritto di famiglia introdotto nel 1975 che riconosce piena parità tra i coniugi, fa riferimento alle loro posizioni di lavoro, introduce il riconoscimento della capacità professionale per entrambi e il dovere per gli stessi di contribuire al mantenimento della famiglia, all’educazione e al sostentamento della prole.

Contrariamente a quanto già sancito 35  anni fa, purtroppo constatiamo che ancora oggi le pari opportunità, di fatto, non sono garantite. A prova di ciò è risaputo che (anche se questo è atto contrario alla legge) le giovani donne spesso sono costrette a firmare dimissioni in bianco a vantaggio del datore di lavoro (eventuale matrimonio, eventuale gravidanza ect…).

P.E.N.E.L.O.P.E è impegnata nella lotta per il raggiungimento effettivo, reale delle pari opportunità e pari dignità. Noi da anni denunciamo il flagello della violenza fisica e psichica sulle donne sia in famiglia, sia sul lavoro.

Siamo qui per confrontare le nostre diverse esperienze con le vostre e per auspicare un fattiva collaborazione con voi.

Ringraziamo chi ha organizzato questo importante convegno perché ci ha offerto la possibilità di ampliare, arricchire le nostre conoscenze.

 

 

Raffaella  ROGNONI[5]  

 

 

Gli stereotipi

Buongiorno a tutte e tutti,

desidero innanzi tutto ringraziare per l’invito a partecipare a questo incontro , che è già esempio di rottura dello stereotipo e di apertura .

Che cos’è uno stereotipo ?

 Lo stereotipo è un insieme di credenze, rappresentazioni ipersemplificate della realtà e opinioni rigidamente connesse tra di loro, che un gruppo sociale associa a un altro gruppo. L’uso della parola risale al 1700, quando veniva utilizzata dai tipografi per indicare la riproduzione, tramite lastre fisse, delle stampe. Il termine (dal greco stereòs=rigido e tòpos=impronta). L’etimologia della parola ci da subito l’idea della generalizzazione messa in atto .

Ragionare in termini di generalizzazioni è naturale per noi, anzi in alcuni casi è funzionale. Ciò ci permette di sintetizzare le informazioni che prendiamo dal mondo esterno. E’ però importante verificare se il concetto che generalizziamo ci permette di dare reale valore e senso di verità a ciò che pensiamo o raccontiamo. Spesso la generalizzazione ci porta a “ fare di tutta l’erba un fascio” e a non notare le peculiarità e varietà delle cose.

Il processo di trasformazione delle informazioni dall’esterno al nostro interno avviene attraverso un meccanismo di filtro tramite generalizzazioni, cancellazioni e distorsioni che ci porta a creare un messaggio superficiale , sintetico, nostro ( è sempre importante tenere presente ciò!)

Riguardo alla forza dello stereotipo, in questo caso di genere, riporto una storiella che veniva raccontata negli anni ’70 : “Un uomo e suo figlio stanno rampicando su una parete rocciosa. A un certo punto i due non trovano l’appiglio e cadono: il figlio, più grave, viene trasportato in elicottero all’ospedale, dove lo attende il migliore chirurgo della struttura per operarlo. Appena il medico lo vede, però, esclama: “Non posso operarlo, lui è mio figlio”. Com’è possibile? Molto semplice: il chirurgo è la madre del ragazzo…..e negli anni ’70 era proprio raro pensare ad una donna chirurgo!

Gli stereotipi di genere sono una sottoclasse degli stereotipi. Quando si associa, senza riflettere, una categoria o un comportamento a un genere, si ragiona utilizzando questo tipo di stereotipi. Associazioni che nella nostra mente scattano automatiche e che quindi sono molto difficili da estirpare o cambiare. L’uso degli stereotipi di genere conduce infatti a una percezione rigida e distorta della realtà, che si basa su ciò che noi intendiamo per “femminile” e “maschile” e su ciò che ci aspettiamo dalle donne e dagli uomini. Si tratta di aspettative consolidate, e non messe in discussione, riguardo i ruoli che uomini e donne dovrebbero assumere, in qualità del loro essere biologicamente uomini o donne.

Per quale motivo avviene questo? In quanto una volta che il nostro cervello ha tracciato un collegamento tra quella parola e quella persona/esperienza il meccanismo parte in automatico grazie al nostro ipotalamo che ci porta a rispondere in reazione, inconsciamente, per abitudine.

Per poter uscire dunque dagli stereotipi è importante rompere lo schema: questa è innanzitutto una grande occasione per ognuno di noi per ampliare la nostra visione della vita e di noi stessi . Ciò peraltro significa anche uscire dalla  nostra zona di confort alla quale siamo affezionati in quanto ci dà sicurezze e certezze che bloccano però il nostro sviluppo e la nostra libertà. E’ dunque importante rispondere alle situazioni con presenza, conoscenza, in azione e non in reazione .

Anche le parole, per finire, ci danno un esempio di come gli stereotipi sono dentro di noi : la stessa parola spesso può assumere un significato diverso al maschile o al femminile. Ad esempio : maestro o maestra, governante ( al maschile e al femminile) , ecc.

Nell’auguravi di essere sempre in azione e non in reazione, concludo con questa frase di Fausto Novelli tratto dal Manuale del Risveglio “ Ogni passo determinato da una scelta consapevole porta esclusivamente al benessere ed alla pace…” Grazie

 

 Antonella SQUILLACE[6]

“Rapporto femminismo e religione in Occidente: brevi spunti per una riflessione”

Ho trovato consolanti le parole della relatrice che mi ha preceduta, mi hanno confortata perché ritrovo nel suo intervento molte delle riflessioni che, pur non concordate, ho fatto pensando a questo mio intervento.

Il femminismo in Italia, su cui non mi soffermo perché personalmente non ne ho fatto parte ma posso dire di averne, per così dire, goduto i frutti delle battaglie fatte dalle generazioni che mi hanno preceduta, ha preso forti distanze in generale dal mondo religioso rappresentato nello specifico dalla Chiesa Cattolica per quello che riguarda gran parte del mondo occidentale, quasi a voler sottolineare, sicuramente giustamente, il maschilismo e l’impronta patriarcale di quel mondo e dunque l’incompatibilità con le giuste rivendicazioni del mondo femminile allora.

Però, riflettendo, e guardandomi intorno oggi in particolare, sono sempre più convinta, che, se il vento di innovazione che proprio in quegli anni portava il Concilio Vaticano II (si ricordano ad ottobre i 50anni dalla sua convocazione), per moltissimi versi rimasto incompiuto, e  le istanze delle donne di quel tempo, si fossero incontrati, cercando un canale di comunicazione, punti in comune, non lasciando sole per certi versi le donne del mondo associativo, all’interno della chiesa, si sarebbero reciprocamente arricchiti, avrebbero magari potuto smussare le aridità e le esagerazioni che entrambi hanno fatto emergere, non lasciando che, Chiesa e femminismo, facessero percorsi diversi, antitetici.

Sappiamo poi che nella realtà non è così, che in realtà ci sono state esperienze, persone, anche documenti ufficiali che hanno fatto sì che la donna potesse pian piano riuscire ad occupare un posto riconosciuto e per certi versi valorizzato all’interno della comunità ecclesiale.

Non è possibile in questa occasione fare la storia del ruolo della donna all’interno della Chiesa negli ultimi anni, quella cattolica nello specifico, perché quella del variegato mondo protestante, presenta percorsi e situazioni diverse, ma mi piace citare un pontefice che fece scandalo, a suo modo, con la sua affermazione.

Papa Albino Luciani, Giovanni Paolo I, che all’indomani della sua elezione nel suo breve pontificato, sottolineò con forza, scandalizzando per certi  versi, il concetto di “Dio padre e ancor più madre”.

Sicuramente questa è una concezione non propria dell’Islam secondo il suo rapporto di fede con Dio nel quale è assente la concezione di Dio Padre, anche se personalmente penso che il concetto di affidamento completo da parte del fedele musulmano verso Dio proprio dell’Islam non è poi così lontano dal gesto dell’affidarsi, come nel rapporto materno, da parte del bambino.

Dicevo fece scandalo all’epoca, sto parlando del 1978, forsela Chiesae la società tutta non erano ancora pronte ad accogliere un concetto così innovativo e per certi versi rivoluzionario, che scardinava, anni, secoli di concezione di dio legata al genere maschile e non propria solo del Cristianesimo: bisogna risalire alle concezioni religiose primitive per avere la presenza di una grande Dea Madre.

Eppure quelle parole di quel pontefice, anche se io ero all’epoca ragazzina, ricordo, rileggendo e rivedendo ancora oggi quelle immagini, quanto avevano consolato il cuore, riconciliando il pensiero della differenza di genere, affrontando la questione del sacro e della trascendenza in prospettiva femminile, denunciando, in qualche misura, nella soggezione alla nominazione maschile, un’antica e non più tollerabile subordinazione patriarcale.

Infatti, perché padre e non madre?, la madre dà la vita al bambino, fa un gesto creativo.

Non dimentichiamo poi il passo di Genesì 1 sulla creazione del mondo “Dio creò l’uomo simile a se, maschio e femmina li creò…..”,  (ish – isha), passo pur nato in una società patriarcale e maschilista quale quella ebraica precristiana, in particolare quella del periodo della schiavitù babilonese.

In riferimento alla Bibbia inoltre, vorrei chiarire un pensiero cui si faceva cenno prima e riprendere la sottolineatura fatta più volte dalla dottoressa secondo la quale è certa interpretazione dei testi che snatura i contenuti della Parola, o, alle volte, una scarsa conoscenza con citazioni non appropriate.
Il passo della creazione dell’essere umano non sottolinea la superiorità dell’uomo nei confronti della donna, ma solo se così lo si vuole interpretare.

C’è un antico detto ebraico che dice che la donna non è stata creata dai piedi dell’uomo, perché gli cammini sotto o dalla testa perché gli sia sopra, ma dalla  sua costola perché gli cammini accanto.

Se veniamo in epoca più vicina a noi, naturalmente senza la pretesa di essere esaustiva, ma dando solo piccoli spunti di riflessione che andrebbero ripresi e approfonditi, grandi esperienze e voci di donne in ambito religioso le possiamo rilevare nelle teologhe che hanno rivendicato un grande spazio all’interno della Chiesa per una teologia, un pensiero teologico al femminile, e che oggi sono riconosciute e tenute in grande considerazione nel mondo della teologia.

Un cenno a parte in questo senso merita ad esempio l’impegno femminile all’interno della teologia della Liberazione, esperienza nata nelle comunità di base, conosciuta in Italia, grazie a teologi quali Leonardo Boff e alle sue opere, a Frei Betto, Dom Helder Camara, per citare solo alcuni nomi.

Nell’opzione preferenziale per i poveri, base della teologia della Liberazione, esiste anche una corrente femminile, anzi femminista, assai più radicale ed antiautoritaria, incarnata dalla figura della brasiliana Ivone Gebara, la quale sottolinea con grande forza le sfumature, le differenze e le difficoltà che ha incontrato e incontra tuttora la Teologia femminista. Fin dalle sue origini, che risalgono al 1980, la Teologia della Liberazione al femminile si caratterizza proprio per l’apertura al confronto e al dialogo, cosa non sempre accettata dall’opzione maschile, tuttora predominante.

Ivone ricorda la difficoltà ad ottenere un riconoscimento dalla stessa Teologia della Liberazione maschile,  che in più di un’occasione ha esitato a comprendere il discorso portato avanti dalle donne, così come i gruppi della sinistra impegnati a combattere contro le dittature militari, che pure hanno faticato e per certi aspetti ignorato le sofferenze patite dalle donne durante gli anni dei regimi. Non si parla solo di esclusione politico-sociale o di violenza verbale, quanto di sofferenza fisica anche e soprattutto sul proprio corpo.

 Ed è proprio in questo contesto che matura il cammino autonomo della Teologia femminista, sia dalla Teologia della Liberazione maschile, per quanto progressista, sia dalla sinistra impegnata e militante.La Teologiaal femminile sta spendendo il suo impegno affinché gli esseri umani ritrovino quella fiducia tra loro persa anche nei confronti della chiesa a causa dello svilupparsi di una società capitalista e ingiusta battendosi per eliminare la mancanza di fiducia tra gli esseri umani.

Ho voluto citare questo pensiero proprio perché anche in ideali progressisti e innovativi ma coniugati al maschile, si riscontra sempre quella settorializzazione che porta alla necessità da parte delle donne di distanziare e differenziarsi.

Ed è del 1988 la lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II sulla dignità e vocazione della donna che si colloca in continuità con l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Infatti, già Giovanni XXIII nella Pacem in terris riteneva che la presenza della donna nella Chiesa e nella società fosse uno dei segni dei tempi.

Il Concilio Vaticano II incoraggiò, come accennato prima, una più vasta partecipazione delle donne sia nell’ambito culturale e sociale, che nell’ambito ecclesiale. E nel Messaggio del Concilio all’Umanità, nell’ampia parte dedicata alle donne, si ricorda la loro missione a servizio dell’umanità “le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto, per aiutare l’umanità a non decadere”.

E viene affidata alla donna la missione di “riconciliare gli uomini con la vita”, di “salvare la pace del mondo”.

Nel 1995 Giovanni Paolo II, dopo aver dedicato il tema della Giornata Mondiale per la Pace alla “Donna, educatrice di pace”, scrive una lettera indirizzata a tutte le donne, in occasione della IV Conferenza mondiale dell’Onu sulla donna, per riflettere «sui problemi e sulle prospettive della condizione femminile nel nostro tempo», stimolando a riflettere sul genio della donna per dare ad esso più spazio nella società e nella Chiesa. Egli guarda al grande processo di promozione della donna, affermando che « è stato un cammino difficile e complesso…, ma sostanzialmente positivo, anche se ancora incompiuto per i tanti ostacoli che, in varie parti del mondo, si frappongono a che la donna sia riconosciuta, rispettata, valorizzata nella sua peculiare dignità.

Mi si dirà che sono proclami, dichiarazioni ufficiali ma che poi hanno corrisposto poco nei fatti e nella realtà ad una vera e propria emancipazione del ruolo della donna all’interno della comunità ecclesiale: non sono del tutto d’accordo.

Tutti i cambiamenti nella storia, sappiamo bene, non vengono solo dalle rivoluzioni e dai proclami ma dalla goccia che scava passo passo, con piccoli gesti, battaglie quotidiane, lotte e sacrifici personali.

Credo poi sia peculiare della donna, a qualunque cultura appartenga, la specificità dell’attesa, del gettare ponti, dell’accogliere.

Ed è per questo motivo, lo dico da credente, praticante  e insegnante di religione, che ho guardato con un misto di ammirazione e sorpresa, le rivoluzioni avvenute nella primavera dello scorso anno, all’interno del mondo arabo e il ruolo delle donne in particolare, non contro una appartenenza religiosa, ma grazie e all’interno di essa, come è stato bel sottolineato dalle relatrici di oggi.

Un concetto così lontano dal nostro femminismo e dalla nostra chiesa.

E questo va anche a scardinare molti pregiudizi e stereotipi sul ruolo delle donne all’interno della comunità islamica. Le trasformazioni epocali ancora in corso nel mondo arabo stanno travolgendo molte delle categorie occidentali che in questi ultimi venti anni hanno pesantemente condizionato il dibattito pubblico sul rapporto possibile tra Oriente e Occidente, sul ruolo dei diritti e della democrazia nel dialogo tra culture e, ovviamente, sulla "condizione delle donne musulmane".

Ma le piazze piene di cittadine e cittadini che rivendicavano diritti e democrazia, i giovani che organizzavano le rivolte via twitter e facebook, hanno finalmente convinto quantomeno a cambiare categorie di pensiero nei confronti del mondo islamico e in questa prospettiva.

 Anche l'esperienza del femminismo islamico andrà analizzata attentamente, per valutarne le ricadute pratiche e coglierne l'originalità più autentica che, a mio avviso, sta soprattutto nell'aver avviato una imponente riflessione delle donne su una tradizione religiosa (quella islamica), evento che al momento non ha eguali nel mondo del cristianesimo, in particolare nel cattolicesimo.

Volutamente non mi sono soffermata sulla figura di Maria perla Chiesae il cattolicesimo, da cristiana dentrola Chiesaspesso ho patito le operazioni della religiosità popolare o della pastorale comune e di magisteri di secoli che a mio giudizio hanno impoverito la complessa figura di Maria di Nazareth che credo invece essere donna molto più vicina a noi donne del nostro tempo. Quindi lascio ad ognuna nel mistero della propria fede, rispettandola, la concezione che ciascuna ne può avere.

Il mio augurio, per queste riflessioni un po’ mescolate e che andrebbero riprese, magari, chissà, in gruppi di lavoro e confronto, è che le donne, a partire e non contro, il proprio credo, la propria cultura di appartenenza, le proprie tradizioni e convinzioni, possano creare le basi per una società più giusta e accogliente, di quanto, anche spesso usando la religione, gli uomini abbiano saputo fare fino ad ora.

 



[1] Presidente Associazione Donne e Mamme Musulmane - albenga

[2]  C.I.D. Centro Iniziativa Donne -Sanremo

[3] Direttivo UCOII , Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, direttore di  Islam online, autore della traduzione italiana del Corano

 

 

[4] Associazione P.E.N.E.L.O.P.E - DONNE DEL PONENTE PER LE PARI OPPORTUNITA’ - Bordighera

[5] Presidente DONNE IMPRESA LIGURIA di CONFARTIGIANATO

[6]  Presidente  MAPPAMONDO, ASSOCIAZIONE DI MEDIAZIONE CULTURALE - Sanremo

30 juin 2012

Contributo NIBRAS BREIGHECE

Nibras Breigheche[1]

 

il Contributo della donna nella civiltà islamica

 

Ho ritenuto doveroso accettare l’incarico di membro del direttivo della nascente Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose per vari motivi. Uno di questi è che sono una donna e credo che la presenza attiva e il contributo delle donne musulmane in tutti i campi sia oggi altrettanto importante che nel passato. Anzi forse oggi lo è ancora di più, data la diffusione di numerosi pregiudizi che riguardano il ruolo della donna nell’islam.

Fin dall’inizio della Rivelazione la donna ha avuto un ruolo importantissimo.

La prima persona che ha creduto nel Profeta Muhammad*[2] fu una donna: Khadija

Grande donna d’affari conosciuta alla Mecca, oltre che per la sua ricchezza, per la sua onestà, la sua generosità e per le sue qualità morali. Khadija era una grande commerciante, che aveva alle sue dipendenze numerosi uomini, ai quali dava lavoro. Lo stesso Muhammad*, aveva lavorato come commerciante alle sue dipendenze. Khadija aveva dato un importantissimo sostegno morale e materiale al Profeta*, che ha detto di lei:

 “Ha creduto in me prima di chiunque altro, mi ha creduto quando la gente mi accusavadi falsità e mi ha sostenuto con i suoi beni quando la gente mi ha privato.”

Il sostegno di Khadija al Profeta* fu quindi fondamentale per la rapida diffusione dell’islam, visto che fu anche grazie al sostegno economico di Khadija che Muhammad* potè dedicarsi completamente alla trasmissione del Messaggio.

L’anno in cui Khadija morì, fu chiamato dal Profeta Muhammad “‛àmu-l-huzn”, ossia “l’anno della tristezza”, per esprimere il grande vuoto lasciato da Khadija.

 

Le prime donne che si convertirono all’islam scelsero l’islam anche perché avevano capito che quel Messaggio divino costituiva una liberazione da ogni forma di oppressione ed ingiustizia e quindi anche dalle oppressioni maschiliste che caratterizzavano la società meccana pre-islamica, e quindi si impegnarono con grande intelligenza e tatto dando un contributo non indifferente alla diffusione dell’islam stesso.

Tra le tante voglio ricordare Um Shuraik, che molto astutamente (date le pesanti restrizioni e le violente persecuzioni messe in atto nei confronti dei primi musulmani) decise di tener nascosta la propria adesione all’islam per poter muoversi più liberamente tra le donne della Mecca per parlare loro della nuova Rivelazione che costituiva tra l’altro anche una liberazione per la donna, che prima dell’avvento dell’islam era praticamente considerata un oggetto: gli uomini ad es. potevano sposare un numero illimitato di donne, e alla morte di un uomo il figlio ne ereditava persino le mogli… L’islam è venuto anche per ridare alla donna la stessa dignità dell’uomo, che Dio le ha dato fin dalla sua creazione[3].

Grazie all’intelligenza di Umm Sharik molte donne sentirono parlare dell’islam e divennero musulmane.

 

‛Umar ibn Al-Khattab (che in seguito sarebbe diventato il secondo califfo dopo la morte del Profeta*) abbracciò l’islam grazie alla provocazione che sua sorella gli aveva lanciato. Dopo aver saputo che sua sorella Fatima era diventata musulmana, ‛Umar si recò da lei furibondo (prima di diventare lui stesso musulmano ‛Omar era uno dei più acerrimi nemici dei musulmani), la trovò che stava recitando il Corano insieme al marito, e la colpì così violentemente da farla sanguinare, lei allora esclamò: “Recitiamo il Sacro Corano e lo facciamo che ti piaccia o no!”. Colpito dal coraggio e dalla decisione della risposta di lei, ‛Omar le chiede di mostrargli i versetti che stava leggendo. E così anche ‛Umar divenne musulmano grazie al coraggio e alla determinazione di Fatima bint Al-Khattab.

 

All’inizio della rivelazione i musulmani furono duramente perseguitati. Uomini e donne venivano barbaramente torturati perché rinnegassero la loro religione, l’islam. Durante queste persecuzioni moltissime donne hanno dimostrato un coraggio e una determinazione enormi.

Il primo martire nell’islam fu una donna, Sumaya, che aveva preferito morire dopo essere stata barbaramente torturata, piuttosto che rinnegare il proprio credo. I musulmani ricordano con orgoglio il fatto che fu una donna la prima persona che sacrificò la propria vita in nome del diritto dell’uomo e della donna di scegliere il proprio credo.

 

In generale possiamo dire che l’Islam ha dato a donne e uomini, non solo gli stessi doveri, ma anche gli stessi diritti.

In un hadith il Profeta* promette la salvezza dall’inferno ai genitori che avranno educato allo stesso modo i figli maschi e le figlie femmine, per quanto riguarda il diritto all’istruzione i genitori musulmani hanno l’obbligo di educare allo stesso modo i figli maschi e le figlie femmine e di dare loro le stesse opportunità. Infatti fin dagli albori dell’islam le donne frequentavano insieme agli uomini tutte le riunioni nelle quali il Profeta* insegnava. Una delle conseguenze di ciò è che moltissimi hadith (= detti del Profeta) ci sono stati trasmessi da donne.

Aicha ad esempio è famosa, tra l’altro, per aver trasmesso 2.210 tra detti, precetti ed insegnamenti del Profeta*, che sono dopo il Corano, la seconda fonte della giurisprudenza islamica. E come ‛Aicha numerose altre donne hanno contribuito alla raccolta e alla trasmissione dei detti del Profeta*. Dopo la morte di Muhammad* ‛Aicha divenne il principale punto di riferimento per i musulmani in materia religiosa, uomini e donne quando avevano un dubbio su una determinata questione che riguardava il credo o la pratica religiosa si rivolgevano a ‛Aicha. Quando il Profeta* morì, ‛Aicha era ancora molto giovane ed istruì più di una generazione di uomini e donne.

 

Fin dagli albori dell’islam, le donne, oltre che assistere alle assemblee, discutevano i loro punti di vista alla presenza del Profeta* e dei califfi, e non esitavano a consigliarli o a correggerli. Famoso è l’episodio in cui il Profeta fu consigliato dalla moglie Umm Salamah e non esitò a mettere in pratica con successo il suo consiglio[4].

 

Un altro episodio molto famoso è quello della donna che all’interno della moschea di Medina, apostrofò ‛Umar ibn Al-Khattab, diventato califfo dei musulmani, per segnalargli un errore di giudizio che lui riconobbe seduta stante. ‛Umar aveva pensato di porre un limite alle doti che i mariti devono offrire alle loro spose in occasione del matrimonio. Quando il Califfo dichiarò dal pulpito che la dote non deve essere superiore a quaranta Dirham, la donna esclamò: “non ne hai il diritto!”. ‛Umar le chiese perché non avrebbe dovuto avere il diritto di porre un limite alla dote, e la donna rispose: “perche Iddio ha detto nel Corano: “…Anche se avessi dato ad una donna un intero tesoro in dote, non riprendertene la minima parte, lo riprendereste per ingiustizia e peccato manifesto.” (Q. 4:20   ). Appena udito ciò ‛Umar disse: “qesta donna ha ragione e  ‛Umar ha torto” e proclamò: “o gente avevo vietato di dare una dote di una somma più alta di quaranta dirham, chiunque voglia dare in dote quanto gli pare lo faccia pure!”

 

Al-Shifà’ bint ‛Abdullah bin ‛Abdi Shams, era un’altra donna conosciuta per la sua intelligenza e per la sua saggezza, veniva spesso consultata dal Califfo ‛Umar che la stimava molto, le pagava le sue consulenze e le aveva affidato il controllo amministrativo sul mercato. Ricopriva in pratica il ruolo di ministro del commercio.

 

Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale ed insostituibile non solo al tempo del Profeta ma anche durante i secoli successivi. Numerose erano le donne scienziate nei campi più svariati: dalla medicina all’astronomia, dalla letteratura alla teologia, dalla ginecologia all’oftalmologia, dalla pediatria alla dermatologia. Esse erano attive in tutti i campi della vita pubblica ed avevano dato il loro contributo non solo nell’ambito della ricerca scientifica e della diffusione della scienza e della conoscenza, ma anche in ambito economico, politico e sociale. Impossibile citarle tutte, perché esistono intere enciclopedie storiche in lingua araba in cui sono elencati i nomi di moltissime di donne e le loro biografie, una di queste è: “A‛làm al-nisà’” di Omar Rida Kahhala, pubblicata nel 1977 dalle edizioni Mu’assasat Al-Risàla.

 

D’altronde sono, oltre agli insegnamenti del Profeta, gli stessi versetti del Corano che invitano uomini e donne a collaborare, ad impegnarsi gli uni a fianco delle altre e a dare ciascuno il proprio contributo per il benessere in questa vita e nell’aldilà. Dice l’Altissimo nel Santo Corano: “I credenti e le credenti sono alleati gli uni degli altri, ordinano il bene e proibiscono ciò che è riprovevole…”(9:71,72)

“In verità non farò andare perduto nulla di quello che fate, uomini o donne che siate, perché gli uni venite dagli altri…”(3:195)

“In verità per i musulmani e le musulmane, per i credenti e le credenti,… per i leali e le leali, per i benefattori e le benefattrici, per quelli che spesso ricordano Dio e per quelle che spesso ricordano Dio, Dio ha disposto perdono ed enorme ricompensa.” (33:35)

Daremo in terra una vita eccellente a chi, credente, maschio o femmina che sia, si comporti bene e nela vita futura adeguata ricompensa.” (16:97)

 

Un’altra donna molto conosciuta è Zubayda bint Ja’far, vissuta tra il 145 h.[5] e il 216 h. (fine dell’VIII secolo d.C.) moglie di Harun Al-Rashid, capo dello Stato islamico in uno dei periodi più fiorenti della storia del mondo islamico. Era una grande poetessa e amava adornare le sue stanze con tende decorate con le sue poesie più belle. Aveva insegnato a leggere e a scrivere a ben 100 delle dame di corte che vivevano nel suo palazzo. Si occupava anche di moda e aveva introdotto numerose novità per quanto riguarda l’abbigliamento femminile. Era conosciuta per la sua saggezza e la sua intelligenza e per questo era una delle principali consigliere del califfo, suo marito. Aveva contribuito con il proprio patrimonio personale alla costruzione di scuole, ospedali, moschee e acquedotti. L’opera che l’ha resa famosa è la costruzione di un importantissimo acquedotto costruito interamente a sue spese alle porte della Mecca, acquedotto che ha preso il suo nome: ‘Ain Zubayda, l’acquedotto di Zubayda. Nell’anno 186 h. Zubayda si era recata in pellegrinaggio alla Mecca e aveva notato che uno dei principali problemi dei pellegrini era la scarsità d’acqua, aveva quindi ordinato la costruzione di un’imponente acquedotto che rendeva l’acqua disponibile non solo alla Mecca ma anche per diversi chilometri attorno alla Mecca, visto che i pellegrini venivano da ogni parte del mondo.

 

Sakina bint Al-Hussain ibn ‛Ali era una grande poetessa, la sua casa era diventata una scuola di poesia e un luogo d’incontro per poeti e letterati che venivano a confrontarsi con lei, a imparare da lei e a recitare le loro poesie, e lei giudicava quali fossero le migliori

 

‛Aicha bint Talha era praticamente cresciuta in casa del Profeta*, era stata allieva di Aicha la moglie del Profeta*. Sua madre era Umm Kulthum bint Abi Bakr Al-Siddiq. divenne una scienziata nel campo dell’astronomia, oltre alla sua profonda conoscenza delle scienze del Hadith, della poesia araba e della storia degli Arabi.

Era conosciuta anche per la bellezza del suo viso e per la sua eleganza, riceveva a casa sua scienziati, poeti e letterati per confrontarsi con loro e per istruirli.

 

‛Amra bint ‛Abdirrahman era stata anche lei un’allieva di ‘Aicha ed era una scienziata nel campo della giurisprudenza islamica. Grandi scienziati come Al-Zohri e Yahya ibn Ma‛in ed altri furono suoi allievi. Quando il califfo Omar ibn ‛Abdel‛aziz ordinò che i Hadith venissero raccolti per iscritto, raccomandò che venissero trascritti tutti i Hadith riportati da ‛Amra.

 

Nafisa bint Hasan ibn Zayd ibn Hassan ibn ‛Ali, era nata alla Mecca nel 145 h. (762 d.C.). Scienziata nel campo del tafsìr, l’esegesi del Corano. Uno dei suoi più celebri allievi è stato Al-Shafi‛i, nel periodo in cui visse in Egitto.

 

Ukht al-Hafid ibn Zohr: era una scienziata nel campo della medicina, vissuta in Andalusia ai tempi del califfo Al-Mansùr Abu Yusef. Erano scienziate in medicina anche le due figlie di Al-Hafid ibn Zohr e Bint Dahn Al-luz Al-Dimashqiya, specializzate nella pediatria e nella ginecologia.

Numerose donne musulmane conoscevano e praticavano la medicina già agli albori dell’islam, tra queste: Rufaida, Um Salim, Um Sinan, Amina bint Qays Al-Ghifariya, Ku‛ayba bint Sa‛d Al-Aslamiya, e Al-Shifà’ bint ‛Abdullah.

Um ‛Atiya Al-Ansariya era specializzata nella pediatria e nella chirurgia e praticava la circoncisione.

Rufayda Al-‘Aslamia era un’esperta infermiera e aveva creato il primo ospedale da campo, al tempo del Profeta Muhammad, durante la battaglia di Al-Khandaq, una delle battaglie più impegnative. Era costituito da una tenda in cui Rufaida curava i feriti.

Al tempo degli Omayyadi: Zaynab, Tabibat Bani Aud, era specializzata nell’oftalmologia.

 

 

Dice Gustave Lebon nel suo libro La civiltà araba:[6] ”Il fatto che moltissime donne fossero celebri per l’alto livello delle loro conoscenze sia nel campo della letteratura che delle scienze dimostra l’importanza del ruolo delle donne per il fiorire della civiltà islamica. Troviamo nel periodo in cui governavano gli Abbasidi un numero non indifferente di scienziate in Oriente, e nel periodo in cui governava la dinastia degli Omayyadi le scienziate erano altrettanto numerose in Spagna.”

 

 

I secoli che seguirono furono nel mondo islamico secoli di stagnazione e di decadenza. dal punto di vista scientifico ci fu quasi un arresto della ricerca e una notevole diminuzione della produzione di testi che trattavano di argomenti scientifici e religiosi. Diminuì così anche il numero delle donne impegnate in questo campo. Con l’estendersi del mondo islamico inoltre si diffusero pratiche, credenze e consuetudini pre-islamiche che per ignoranza venivano attribuite all’islam stesso. Molte di queste credenze riguardavano il ruolo della donna, che venne in molti casi messo in secondo piano

 

Nonostante il diffondersi di queste credenze e le conseguenti difficoltà, numerose furono le donne che ebbero la possibilità di istruirsi e di istruire, con la differenza rispetto ai secoli precedenti, che la maggior parte di loro appartenevano alle classi più alte della società. Alcune di loro oltre ad aver istruito numerose donne, istruirono anche numerosi uomini, come ad es:

 

Shahda Al-Daynuryya,. Era una delle più grandi scienziate e scrittrici del suo tempo. Nacque a Baghdad e morì nel 574 h., dava lezioni di storia e di poesia, tra i suoi allievi c’era anche il celebre scrittore e filosofo Ibn Al-Jawzi e Al-Shafi‛i

 

Asmà’ bint Ibrahim, morta nel 1308 d.C., insegnava Corano e le scienze legate al Corano. 

 

Alif bint ‛Abdallah ibn ‛Ali Al-Kattani, morta nel 1474 d.C., che aveva insegnato tra gli altri anche al Sakhawi.

 

E molte altre scienziate che popolavano le fastose corti di quel tempo, venivano invitate dai califfi e dai principi ad istruirli e ad istruire i loro figli.

 

Dal1200 inpoi molte delle scuole più famose del mondo arabo erano state aperte grazie a donne che avevano investito parte del proprio patrimonio per la costruzione di scuole.

Ad es. le due più famose scuole di Damasco erano state costruite a spese di Sitt Al-Sham bint Ayyub ben Shadi, la sorella di Salah Al-Din Al-Ayyubi, morta nel 1219 d.C..

Altre due importanti scuole di Damasco sono state istituite rispettivamente da Khadija bint Al-Malek Sharafeddin (1261) e ‛Aicha la moglie di Shuja‛eddin Al-Dammagh.

 

Anche quando il mondo arabo islamico è stato colonizzato, le donne hanno avuto un ruolo importante, basti ricordare a questo proposito i nomi di quattro donne: Aicha Taimur, Zaynab Fuaz, Anisa Shartuni (nata a Beirut nel 1883) e Malak Hafni Nasef. Queste 4 donne si sono preoccupate in particolare di migliorare la situazione della donna durante il colonialismo e dell’importanza della sua istruzione.

Aicha Taimur ad es. era egiziana, nata al Cairo nel 1840, profonda conoscitrice della grammatica e della letteratura araba e della giurisprudenza islamica. È autrice di tre raccolte di poesie: in arabo, in turco e in persiano, e di un poema. Autrice anche di numerosi articoli in cui parla dell’importanza dell’istruzione della donna e della sua partecipazione attiva in tutti i campi della vita sociale.

Non posso non ricordare a questo punto una donna molto conosciuta nel mondo arabo per il suo impegno e per la sua determinazione: Zainab Al-Ghazali. Durante gli anni ’50 e ’60, durante il sanguinario governo di Nasser (Egitto), furono imprigionati migliaia di oppositori politici, molti dei quali hanno subito la pena capitale. di conseguenza molte famiglie si sono trovate in difficoltà tra l’altro anche economica. Zaynab Al-Ghazali ha costituito un’associazione per sostenere le famiglie dei prigionieri politici ed era molto impegnata per aiutare le persone socialmente in difficoltà. Per questo motivo è stata lei stessa imprigionata per più di vent’anni ed è stata sottoposta a torture indescrivibili. È sopravvissuta a tutto questo e una volta uscita di prigione nonostante il suo fisico fosse ormai debilitato da tutto ciò che aveva subito, ha continuato la sua attività al servizio dei più deboli.

È autrice di un libro, un’autobiografia intitolata Ayyam min hayati, un libro molto toccante che spero venga tradotto in italiano.

Concludo citando Tawakkul Karman, una donna musulmana praticante che porta il velo che ha ricevuto nel 2011, insieme ad altre due donne, il Premio Nobel per la Pace, “per la loro battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione nell'opera di costruzione della pace", un riconoscimento internazionale per il suo impegno per la libertà, la democrazia e il rispetto dei diritti umani di tutti i popoli che chiedono libertà e dignità. La Karman, più volte arrestata durante le manifestazioni pacifiche, è una giornalista yemenita, madre di tre figli, avvocato, fondatrice e  presidente dell'associazione 'Giornaliste senza catene', membro del partito politico “Raggruppamento yemenita per la riforma”, branca yemenita dei Fratelli Musulmani. 
Come donna considero questo premio un riconoscimento all'impegno di tutte le donne musulmane che si sono battute e che si stanno battendo pacificamente, a fianco degli uomini, in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, in Siria o in qualsiasi altra parte del mondo. Durante la “Primavera Araba” le donne sono sempre state in prima fila insieme agli uomini per chiedere pacificamente libertà, dignità e democrazia, pagando molto spesso con la loro stessa vita, o con quella dei loro cari. La storia è e sarà testimone anche di questo loro grande contributo per il progresso dell’umanità verso il dialogo e la convivenza pacifica.

 

 

Bibliografia:

مة المعاصرة, مؤسسة الرسالةفصة احمد حسن, أصول تربية المرأة المسلح

Hafsa Ahmad Hasan, La donna musulmana di oggi, Resalah Publishers, Beirut (Libano) 2001

www.resalah.com



[1] Direttivo dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose, addetta al dialogo interculturale e interreligioso.

 

[2] L’asterisco indica l’eulogia “Chela Pace ela Benedizione di Allah siano su di lui” che i musulmani, in ottemperanza a un’indicazione coranica e a una tradizione profetica, fanno seguire alla menzione del Profeta Muhammad.

[3] Dio ha responsabilizzato allo stesso modo uomo e donna fin dal primo giorno della loro creazione, raccomandando loro di fare determinate cose e vietandone loro altre, nel Corano Dio, parlando in prima persona, dice: “Oh Adamo abita il Paradiso, tu e la tua sposa, saziatevene ovunque a vostro piacere e non avvicinatevi a quest’albero, perché in tal caso sareste tutti e due tra gli empi.” (Q. 2:35). Quando Adamo ed Eva disobbedirono, Dio ha rivolto loro lo stesso rimprovero: “Il loro Signore li richiamò: non vi avevo vietato quell’albero? Non vi avevo detto che Satana è il vostro dichiarato nemico?” (Q. 7:22)

[4] Questo episodio avvenne in occasione del Patto di Hudaybyya, si veda al riguardo pag. 201 di Tariq Ramadan, Maometto, Einaudi 2007

[5] H. sta per Hijra, conosciuta come Egira, l’emigrazione del Profeta Muhammad verso Medina, avvenuta nel 622 d.C., data che segna l’inizio del calendario islamico.

[6] Editions Minerva, S.A., Genève, 1974

30 juin 2012

RELAZIONE FINALE

Il seminario si è svolto nella giornata di sabato 12 maggio 2012  a Sanremo nella Sala conferenze dell’’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario ed è stato segnato dal un grande successo di pubblico e di contenuti.

  

Notevole è stata l’affluenza del pubblico, al di là delle aspettative, di tante donne, ma non solo. Più di cento partecipanti, donne e uomini, di varie nazionalità (in maggioranza italiane/i, marocchine/i e tunisine/i) e di varie confessioni (musulmane/i, cristiane/i, credenti e non credenti)  si sono ritrovati per dare vita ad un vivace dibattito che ha toccato momenti di profondità grazie alle relazioni introduttive di Asma Lambrabet e Souheir Katkhouda, due tra le più autorevoli studiose e attiviste musulmane che da tempo sono impegnate nella difesa dei diritti della donna nel mondo islamico, nonché grazie ai numerosi interventi di esponenti dell’associazionismo locale. Una partecipazione multietnica quindi che dimostra non solo l’interesse che suscita tra la popolazione italiana il fatto di conoscere finalmente un mondo che ci è sempre più vicino e che troppo spesso è guardato con diffidenza se non con ostilità, ma anche l’interesse che esiste nella stessa comunità immigrata musulmana di avvicinarsi ad un dibattito che si sta svolgendo con particolare vigore nel proprio paese d’origine. 

 

L’incontro, che ha abbracciato tutta la giornata, con una pausa pranzo in cui è stato possibile gustare piatti tipici preparati dalle donne di Casa Africa e dell’Associazione donne e mamme musulmane di Albenga, è iniziato con la proiezione di un breve filmato prodotto da Casa Africa. Nel filmato,  su uno sfondo musicale di una celebre canzone magrebina cantata da una giovane tunisina, si susseguivano immagini e riprese di donne islamiche, velate e non velate, che lavorano in attività di tutti i tipi, manifestano politicamente le loro idee, fanno spettacolo, militano nell’esercito e così via, a testimonianza del grande impegno e dell’importante ruolo civile e politico che la donna oggi ha nei diversi paesi del mondo arabo.

 

http://www.mediafire.com/?p177afj7vh7yjjw

 

 

Sono quindi seguiti gli indirizzi di saluto da parte di Fatima Arfaoui, presidente di Casa Africa, di Stefania Baldini, Segretaria Generale dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario che ospitava l’evento,  e  di Radhia Khalfallah, past president di Casa Africa. La presidente ha dato il benvenuto al numeroso pubblico intervenuto rimarcando l’importanza di una partecipazione, oltre che numerosa, soprattutto plurale di musulmani, cristiani, credenti e non credenti, arabi e italiani, mentre la past president ha illustrato brevemente come  Casa Africa sia nata sulla spinta dell’amicizia di alcune donne straniere e italiane di differenti credo e laiche, con lo scopo, in particolare, di sostenere il protagonismo delle donne immigrate e promuovere la solidarietà e il dialogo tra le diverse componenti del mondo femminile.

Marina Gori, componente del consiglio direttivo di Casa Africa e coordinatrice del seminario, e Radhia Khalfallah si sono poi alternate come moderatrici delle relazioni e dei numerosi interventi.

 

Le relazioni principali sono state tenute da Asma Lamrabet, e da Souheir Katkhouda.

 

Asma Lamrabet, ematologa nell’ospedale Avicennes di Rabat, coordinatrice del gruppo internazionale di ricerca sulla donna musulmana e il dialogo interculturale, presidente e co-fondatrice del GIERFI (Group international d’études et de réflexion sur femmes et Islam) e autrice di fama internazionale di numerosi libri sui temi della donna e l’Islam, ha svolto due relazioni.

Nella prima, Donne musulmane e stereotipi occidentali, realtà o pregiudizi?”,  la relatrice, premesso che pregiudizi e realtà generalmente convivono e si alimentano a vicenda nella costruzione di uno stereotipo, ha argomentato come gli stereotipi occidentali nei confronti delle donne musulmane, alimentati da una terrificante macchina mediatica, si riducano ad una visione essenzialista in cui la donna musulmana viene ridotta alla sua simbologia più arcaica che esiste solo in parte, ma che è anche contraddetta da una realtà plurale e molto più complessa. Ha inoltre individuato l’origine della costruzione di tale stereotipo in una visione di stampo orientalista e colonialista che certe femministe europee a giusto titolo indicano come il prodotto dell’intreccio tra sessismo e razzismo, visione che finisce per relativizzare se non addirittura ad assolvere le altre culture e società, in particolare quelle occidentali, da ogni accusa di discriminazione di genere. Nonostante l’insopportabile strumentalizzazione internazionale che viene fatta di questo stereotipo la realtà –ha detto la relatrice- è che le donne musulmane si trovano a vivere in uno status che è tra i più precari del mondo e che trova origine soprattutto dalla strumentalizzazione politica che dei dettami religiosi viene fatta nel mondo arabo e che tradisce il vero messaggio spirituale dell’islam (vedi seconda relazione). Peraltro questa visione estremizzata della donna musulmana da parte del mondo occidentale, vissuta come un’insopportabile e pericolosa ingerenza da parte del mondo arabo, ha contribuito, insieme alla crisi identitaria che attraversa oggi il mondo islamico, a considerare la donna araba come l’ultimo baluardo da difendere dell’identità musulmana.

Nella seconda relazione “Femminismo islamico: i precetti del Corano nella  prospettiva della parità di genere”, la relatrice, premesso che occorre smontare l’idea preconcetta che esiste un solo femminismo di stampo ideologico restrittivo di tipo occidentale e che esistono invece numerosi femminismo, tra cui anche il femminismo postcoloniale delle donne del sud, ha tracciato una definizione di femminismo universale  dimostrando l’assoluta legittimità e non contraddittorietà della definizione “Femminismo Islamico”. E’ passata poi ad argomentare, testi alla mano, come sia possibile all’interno della cultura dell’islam rivendicare l’uguaglianza di genere a partire da una lettura riformista dei versetti del Corano che è l’approccio appunto del femminismo islamico. Una lettura che a fronte dell’esistenza di diversi livelli nei versetti coranici dà priorità assoluta ai versetti universali e ai tre principi fondanti dell’islam, lettura quest’ultima che è stata distorta dal patriarcato religioso e dalle manipolazioni politiche.

    

Souheir Katkhouda,  di origine siriana, ma residente da diversi anni in Italia, presidente e socia fondatrice dell’Associazione Donne Musulmane in Italia (ADMI), membro dell’ European Forum of Muslim Women (EFOMW), dopo aver proiettato un video in cui venivano illustrati l’attività e il ruolo svolti in Italia dall’ADMI, nella sua prima relazione, “La donna araba agli albori dell’Islam, teologhe, filosofe e  scienziate...”, ha parlato dell’importante ruolo paritario che le donne rivestivano a quell’epoca all’interno dell’islam e dell’importante contributo che esse diedero alla costruzione della cultura islamica. Illustrando la vita e le opere di numerose donne musulmane che sono entrate nella storia, ha sottolineato come queste donne avessero scelto l’islam proprio perché quel messaggio costituiva una liberazione da ogni forma di oppressione e ingiustizia, anche maschilista, che caratterizzava la società meccana- preislamica. Mediche, filosofe, teologhe, politiche, scienziate, scrittrici partecipavano al pari degli uomini alla vita pubblica, sociale e religiosa dell’epoca. I secoli che seguirono – ha affermato la relatrice- furono per la cultura islamica secoli di stagnazione e di decadenza sotto il profilo scientifico e diminuì così anche il numero delle donne in esso impegnate, inoltre con l’espandersi del mondo islamico si diffusero anche pratiche e credenze preislamiche che per ignoranza venivano attribuite all’islam stesso.

Affrontando poi il secondo argomento, “Il ruolo della donna nei  diversi contesti  politici del mondo arabo e nelle odierne rivoluzioni. La primavera araba e le sue ricadute sulle donne immigrate”, la relatrice ha dimostrato come il ruolo delle donne sia e sia stato fondamentale per la primavera araba e ha citato le innumerevoli donne, di ogni estrazione sociale e di ogni religione, con o senza velo, che hanno partecipato, dallo Yemen alla Siria, dalla Tunisia all’Egitto, alle rivoluzioni arabe in prima linea con gli uomini. Ha quindi tracciato lo scenario sociale e umano di queste rivoluzioni il cui obiettivo è l’eliminazione di sistemi politici dittatoriali marci e corrotti, luogotenenti degli antichi colonizzatori in un’area del mondo che subisce ancora il colonialismo indiretto. Ha aggiunto poi che attraverso la partecipazione alla costruzione delle società post-rivoluzione, come nei momenti elettorali o nella stesura delle nuove costituzioni, le donne chiedendo riforme e diritti che siano in grado di cambiare veramente il loro status possono diventare un elemento chiave dei processi di trasformazione democratica. Questi accadimenti – ha detto la relatrice- sono vissuti intensamente anche dalle donne arabe che vivono in Italia e ciò contribuisce a sperare che la nascita di nuove democrazie nel mondo arabo possa contribuire a far cadere diffidenze per fare posto alla cultura della simpatia.    

     

Le relazioni sono state intercalate da interventi di rappresentanti di movimenti femminili ed esponenti della cultura islamica presenti nel nostro territorio.

 

In particolare quello di Lara Aisha Bisconzo, presidente dell’Associazione donne e mamme musulmane di Albenga, sulle difficoltà che le donne musulmane, in particolare quelle italiane convertite all’islam, incontrano in Italia nel professare la loro fede; di Miriana Semeria per il CID -Centro Iniziativa Donne- di Sanremo, sull’islam politico e sui pericoli che rappresenta uno stato teocratico; di Hamza Piccardo, del direttivo UCOII, Unione delle Comunità Islamiche d’Italia e autore della traduzione italiana del Corano, sul fondamenti spirituali ed egualitari del messaggio coranico; di Filomena Loreto per P.E.N.E.L.O.P.E.  -Associazione Donne del Ponente per le Pari Opportunità- di Bordighera, sulle tappe dell’emancipazione femminile in Italia; di Raffaella Rognoni, presidente di Donne Impresa Liguria di Confartigianato, sul concetto di stereotipo e su come esso si forma; di Antonella Squillace, presidente dell’Associazione di Mediazione Culturale Mappamondo di Sanremo, su alcune problematiche connesse al femminismo cattolico e su alcuni movimenti femminili cattolici. L’incontro si è concluso con la testimonianza  drammatica di Bibi, moglie e madre Pakistana che il marito e il cognato hanno tentato di uccidere insieme alla giovane figlia poiché si opponeva al matrimonio combinato di quest’ultima. Bibi ha avuto la forza di scappare e il coraggio di denunciare tutto alla polizia ed ha vissuto questi ultimi anni in una casa protetta. Ha voluto rendere pubblica la sua esperienza per dare coraggio ad altre donne che vivono situazioni analoghe.

 

Numerosi sono stati però anche gli interventi da parte del numeroso pubblico per ottenere informazioni e approfondimenti su argomenti tanto vivi e interessanti.

 

Ne è emerso un dibattito che ha messo ben presto in luce come la battaglia contro le discriminazioni e le violenze di genere abbracci ogni latitudine e come, al di là delle differenze culturali e delle diverse convinzioni religiose in cui si riconoscono i numerosi "femminismi" attivi sulla scena internazionale, tale battaglia debba essere condotta unitariamente, dando peso cioè a ciò che ci unisce.

 

In molti ci hanno chiesto che questo dibattito possa proseguire anche in futuro. Presto Casa Africa pubblicherà un blog tematico con il materiale del seminario.

 

Casa Africa desidera ringraziare le relatrici, in modo particolare, nonché tutte/i coloro che con il proprio intervento e la propria partecipazione hanno contribuito al buon esito del seminario. Ringrazia altresì l'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario per la sua affettuosa ospitalità e il Cespim che ha promosso l'iniziativa.

 

Conclusioni:

 

Le donne rappresentano un importante anello di congiunzione tra i modelli culturali di cui sono portatrici le diverse comunità che convivono in un determinato paese. Condividono infatti le stesse sofferenze e conducono le stesse battaglie contro le forme di violenza e di discriminazione di genere di cui molte sono vittime quale sia la loro origine etnica, o nazionale. In particolare poi le donne straniere hanno un peso decisivo e fondamentale in questo ruolo di mediazione dato che la migrazione coincide per molte con momenti cruciali della loro vita che le espone a cambiamenti importanti, ciò soprattutto nel caso in cui siano presenti figli ove è la madre sovente a dover stabilire i legami con la società di accoglienza.

Nella provincia di Imperia la comunità arabo-islamica rappresenta la componente più numerosa della popolazione immigrata extracomunitaria, con il 40% costituito da donne. Tuttavia nei confronti di questa componente femminile sono frequenti atteggiamenti di diffidenza e di esclusione radicati in pregiudizi determinati per lo più da una scarsa conoscenza della reale consistenza e complessità della loro cultura. Peraltro con questi stereotipi, consistenti nell’immaginario di una donna irrimediabilmente sottomessa ad una cultura maschilista e patriarcale, situazione che si dà per scontato come indissolubilmente legata alla religione islamica, la società di accoglienza finisce per alimentare la riproduzione di queste stesse situazioni oltre a condannare le donne immigrate musulmane all’isolamento ed all’emarginazione. In realtà si tratta di pregiudizi ingiustificati se si considera, come è stato ampiamente dimostrato nel corso del seminario, che mentre nel passato la donna nel mondo islamico ha avuto un ruolo di primo piano, forse più di quanto non lo abbia avuto nel mondo occidentale, oggi,  nei diversi contesti politici che caratterizzano la società araba, si vanno affermando movimenti femminili che rivendicano con forza spazi e diritti  appellandosi proprio ai dettami della religione islamica, dettami spesso arbitrariamente distorti da una lettura patriarcale. Movimenti che sono poi in prima linea nelle rivoluzioni in atto e nella costruzione delle società post rivoluzione.

Riteniamo che l’iniziativa abbia raggiunto l’obiettivo che si proponeva di avvicinare alla complessa realtà del mondo arabo, in particolare quello femminile, promuovere la presa di coscienza e il protagonismo delle donne arabe presenti nella nostra provincia e favorire così l’incontro fra le diverse componenti  del mondo femminile –e non solo- nella nostra società.

 

 

 

 

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30 juin 2012

LINK

Sito di Asma

http://www.asma-lamrabet.com/html/articles.htm;

Sito Gierfi

http://www.gierfi.org/

 

sito ADMI

http://www.admitalia.org/;

sito European forum of muslim women

http://www.efomw.eu/

sito Islam online

http://www.islam-online.it/

sito del Congresso internazionale sul femminismo islamico

http://feminismeislamic.org/1congres/videos/

sito di Jura Gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale

http://www.juragentium.org/forum/feminism/index.htm

(qui ci sono diversi interessanti articoli di studiose italiane sul tema che si potrebbero postare separatamente)

 

30 juin 2012

Seminario "ISLAM E FEMMINISMO" parte -1-

30 juin 2012

Seminario "ISLAM E FEMMINISMO" parte -2-

30 juin 2012

Seminario "ISLAM E FEMMINISMO" parte -3-

30 juin 2012

Seminario "ISLAM E FEMMINISMO" parte -4-

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